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di MICHELE SMARGIASSI
Non si può dire che se ne va sbattendo la porta, perché
è proprio la sua Porta monumentale che non si farà.
Modena resta orfana dellopera con cui voleva affacciarsi
al proscenio dellarchitettura contemporanea.
Frank Gehry, settantenne canadese-californiano, forse larchitetto
più richiesto del momento, getta la spugna disgustato dallultimo
pasticcio allitaliana. «Contesto impossibile per lavorare,
situazione inaccettabile», scrive al sindaco di Modena Giuliano
Barbolini, arrendendosi di fronte allennesimo stop ufficiale,
firmato dal Comitato di esperti del ministero dei Beni Culturali.
Uno stop a metà, una specie di «rimando a ottobre»:
il progetto è vago, rifatelo. Ma lui ha mangiato la foglia:
«Le opinioni del Comitato non forniscono indicazioni concrete
né parametri per lavorare in maniera costruttiva».
E quindi addio: il grande architetto chiude e se ne va, congedandosi
con una pacca sulla spalla dal sindaco inviperito: «Capisco
la sua delusione, è anche la mia». A Barbolini non
resta altro da fare che ringraziare ironicamente il ministro Melandri:
«Abbiamo perso unoccasione, abbiamo fatto una figura
misera».
Dopo tre anni di controversie, dunque, va in fumo il progetto di
costruire il nuovo ingresso monumentale della città emiliana,
sulla piazza dove fu stoltamente abbattuta nel 1912 la porta trionfale
che portava la firma del duca Francesco III dEste. Unidea
nata da uno slancio di esplicita grandeur, nel 1997, in chiusura
delle manifestazioni per il quarto centenario di Modena capitale
(estense). Poco frequentata dagli architetti contemporanei (può
vantare solo una banca di Giò Ponti e un cimitero di Aldo
Rossi), Modena voleva «qualcosa» per emergere da una
tranquilla mediocrità di fasti romanici, portici padani e
palazzine geometrili.
Si pensò a Gehry, allora sugli scudi per il successo del
suo Guggenheim di Bilbao. Gehry accettò, e cominciò
a lavorare su piazza SantAgostino, spazio settecentesco premeditato,
simbolo del paternalismo illuminato della corte Estense, rettangolo
di edifici pubblici (museo, ospedale) ai bordi del centro storico,
sfondato a ovest dalla demolizione delle mura. Per ricucire la ferita,
il californiano disegnò due torri di 28 metri in traliccio
dacciaio, collegate da uno schermo avvolgibile per proiezioni.
Scoppiò il finimondo. Insurrezioni, petizioni, contropetizioni
(i piccoli imprenditori aprirono una sottoscrizione per pagare in
proprio lopera), urbanisti e critici spaccati. Le opposizioni
politiche ma anche ambientaliste e culturali (Italia Nostra) trovarono
il loro paladino nel soprintendente Elio Garzillo, per il quale
la Porta di Gehry alterava lequilibrio del centro storico
ed era anche «inutile». «Come se lagoefilo
di Oldenburg a Milano servisse a ricucire davvero le ferite di quella
città», commenta sarcastico il sindaco, «come
se il loggiato del Bernini fosse stato pensato per riparare i fedeli
dalla pioggia
». Il nuovo oggetto urbano è stato
giudicato prima troppo invasivo dal soprintendente, poi troppo «effimero»
dal comitato ministeriale; in definitiva bocciato da entrambi. Tutto
finito. «Il perverso gioco delloca dei rimpalli è
arrivato alla casella "torna alla partenza"»: è
ancora lamarezza del sindaco, che ne fa anche una questione
politica, di leso federalismo. Per Gehry, a cui non mancano altre
occasioni, quella modenese (e italiana) è stata solo una
parentesi «particolarmente sfortunata e deludente».
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