alla frutta
Ho provato anche io a buttarmi sui concorsi, per ora nessuno mi ha chiamato, nella speranza di un cambiamento, attendo, ma gli occhi li ho, e quelli che conosco che lavorano in comune, non sono neppure loro gran soddisfatti, quindi non mi aspetto miracoli.. Avverrà non lo so, me lo auguro, perchè sento di non essere sereno, e di non potere garantire la sicurezza alla mia famiglia.
A ricominciare non ho coraggio ne volontà, perchè mi sembra di buttare nel gabinetto 10 anni della mia vita.
Non ho consigli, spero qualcuno te li dia, volevo solo condividere e dirti che non sei sola.
Ma sognando, e ti dico sognando, ne avessi il coraggio, mi trasferirei in montagna ma non saprei dirti cosa andrei a fare.
Oggi va molto il food, ogni tanto vedi qualche architetto che stufo ha fatto questo o quello (altro giorno uno ha aperto un food truck che vende passatelli) tanti si buttano sulla ristorazione.
@d.n.a. Hai condensato in una sola frase tutto il disagio di noi quasi quarantenni che stiamo già precipitando senza aver mai raggiunto nemmeno la quota per un breve volo stazionario. Una frase, che corrisponde ad una condizione, che dovrebbe far riflettere parecchio, soprattutto quelli del "buttati che è morbido", quelli del "molla tutto e cambia vita", quelli del "invece di lamentarti trovati un altro lavoro". Premesso che non è affatto facile cambiare vita , anche volendo, spesso si finisce per risultare troppo qualificati, con troppa esperienza, troppo laureati, troppo antichi, troppo anziani, troppo poco tecnologici, troppo costosi (provate a farvi assumere, che ne so, in un supermercato o come magazziniere o come receptionist in un autoconcessionario e fatemi sapere se prendono voi o l'ultimo dei disadattati con un diploma regalato). Non so voi, ma ogni volta che penso a "svoltare definitivamente", non posso fare a meno di domandarmi se sia la mossa che fanno i coraggiosi o se sia un fallimento.
Forse è solo questione di priorità e capacità di sopportazione. Gettare nel cesso tanti anni di studi, sacrifici economici e "mentali", una decina di anni di lavoro ed una professionalità specifica di medio/alto profilo può essere da eroi o da idioti in egual misura.
Cambiare lavoro... Ma quale? Come se fosse facile.
Fatevene una ragione, L'italia non è un paese per architetti. Certamente fate concorsi per un posto presso enti, promuovete la professione nel paese. Spendetevi ma fino a un certo punto. Oppure ripensate a cosa fare di altro per lavoro, ormai Smetto Quando Voglio è un film del 2014, non è più un tema nuovo.
Soprattutto dopo aver visto che fuori il mestiere esiste ancora ed è rispettato, mi duole leggere questi vostri messaggi avendone vissuto tutta la difficoltà. Buona fortuna!
Grazie per le risposte, a tutti.
Crederci non è da idioti e nemmeno da illusi. Crederci, soprattutto se ha comportato impegno, sacrificio e passione, è doveroso; è questione di coerenza, di autostima e tenacia.
Crederci, soprattutto se supportato dal provarci in ogni modo, può non bastare, ma solo come conseguenza di un sistema che non funziona come dovrebbe. E' il sistema professione/lavoro ad essere da "idioti", nel senso che raramente è meritocratico e/o democratico, finendo per premiare i fortunati, i "paraculati", i corrotti ed i disonesti (aggiungerei che possono essere idioti i datori di lavoro e spesso pure i committenti).
Non voglio pensare che chi ci crede sia colui che sbaglia. Tuttalpiù può fallire, ma ancora una volta il fallimento è prerogativa di chi ci prova.
Ciò premesso, credo che si possa essere, nella pratica, costretti a cambiare strada, ma mai colpevoli di averne intrapresa una che s'è rivelata troppo in salita o irta di ostacoli. Aggiungo, poi, che molti di noi, hanno intrapreso un cammino in un periodo in cui si poteva auspicare in buone prospettive per il futuro, finendo per esordire nel mondo del lavoro in concomitanza di una crisi che nessuno (dei non addetti ai lavori) poteva immaginare così nera e duratura. Non siamo illusi, siamo stati illusi. E' facile fare scelte se si ci sono ragionevoli certezze sugli anni a venire, diverso è farle e trovarsi catapultati in uno scenario che le ha rese folli nel frattempo. In pochi credo, hanno avuto la lucidità di mollare per tempo, quando avrebbe avuto, forse, un senso farlo.
Come accennato in precedenza, mi sentirei molto più umiliato dal dover rinunciare che non dall'aver fallito provandoci.
2) mi hanno proposto di tornare full time con contratto finto (e ho detto di no)... Cosa intendi per contratto finto?
@ ponteggi : 1) perchè preparavo l'esame di Stato e non avevo alcuna esperienza lavorativa tecnica, pensavo mi sarei fermata poco tempo; dopo alcuni mesi fui assunta con contratto a termine; in quel periodo le ore di lavoro effettivo erano il doppio di quelle dichiarate. Nel tempo il contratto è migliorato ma ho iniziato davvero a far quadrare le ore dichiarate con quelle effettive solo dopo essere diventata mamma.
2) Mi hanno proposto di tornare full time con un fuori busta variabile in nero a seconda di come gli gira; ho rifiutato perché oltre che sbagliato mi sono sentita professionalmente svilita... inoltre avrei speso il magro extra in baby sitter .
Edoardo dimenticavo: i titolari per non perdermi hanno alzato la posta due volte, ma questo un bel po' di acqua sotto i ponti fa; ora sarebbe impensabile, non hanno più margine...molto più facile sostituirmi.
Io ho la tua età, ho avuto un percorso molto simile, lavorativamente parlando, quando il lavoro allo studio si è fermato, dopo un attimo di smarrimento, ho coma studiare per i concorsi. Sono stati mesi non facili, di grossi sacrifici, anche economici. Ora non voglio dirti di fare come me, o che la mia scelta sia stata la più giusta, ma solo darti un'amichevole pacca sulla spalle, per quel che serve. Sei giovane e preparata, riparti da lì. E anche se molli tutto e scegli di fare un percorso totalmente diverso, non stai buttando via la tua vita professionale, assolutamente no: stai semplicemente facendo altro che potrebbe rivelarsi anche più gratificante.
Anch'io credevo di arrivare ai quaranta pienamente realizzata, mentre in realtà per ora con lo stipendio copro affitto, bollette e rata dell'auto, senza aiuti dalla famiglia e senza poter contare su altre entrate. La tua è una sensazione comune a tutta una generazione, ahinoi. Un grande in bocca al lupo.
Per chi ha famiglia è difficile trasferirsi all'estero.
Siamo sempre lì: chiunque può studiare Architettura e laurearsi ma per fare l'Architetto (senza morire di fame) bisogna essere nel giro radical - chic che conta e/o avere una famiglia benestante alle spalle.
In una parola, per vivere facendo l'Architetto, non bisogna avere bisogno di lavorare.
Io avevo alle spalle una famiglia piccolo borghese e quindi non avevo nè l'una nè l'altra precondizione ma quando ho cominciato (negli anni ottanta) erano altri tempi.
Non c'erano la "semplificazione" e la furia regolamentatrice che hanno reso un inferno la professione.
Gli appalti giravano.
L'euro era di là da venire e la gente aveva soldi da spendere.
Quindi, anche uno "del popolo" come me riusciva ad aprire lo Studio e a portarlo avanti (sia pure con sacrificio); eventualmente anche senza dipendenti.
Oggi, per un progettista, fare un banale ampliamento significa uscire pazzi con decine di adempimenti e per un'Impresa prendere un appalto senza essere messo sotto processo grazie all'ANAC è un miracolo.
Coraggio mia, un abbraccio,
Le strade alternative ci sono, quasi sempre difficili per sfuggire l'inerzia.
Ci sono anche casi di secca decisione....Recentemente un collega, dopo anni di lavoro in un grosso studio di progettazione, ha deciso di mollare tutto e mettersi in proprio. Non ho idea di quali siano le basi della scelta, spero per lui che non sia un "salto nel buio".
Capisco il pessimismo, ma se hai sulle spalle 10 anni+ di studio come tuttofare dovresti avere un bagaglio tecnico e pratico di tutto rispetto che devi solamente imparare a mettere a profitto.
A prescindere dalle difficoltà infatti le cose le sai fare, sei una professionista probabilmente abbastanza completa (probabilmente più skillata dei tuoi titolari e certamente di molti colleghi li fuori) e quello che ti frena è più la paura di aver perso la certezza del "poco" lavoro che le competenze che sai di avere.
Capisco non sia facile e possa sembrare retorico ma non biasimare le scelte che hai fatto, muta piuttosto il punto di vista. Sei uscita da una condizione dove lavoravi per ingrassare altri, hai abbandonato la corsa forsennata sulla ruota e ora guardi la stessa dall'esterno. Ora si tratta "solo" di trovare una TUA ruota e correre per essa.
Fai un attimo mente locale, pensa cosa sai fare bene e pensa al tuo futuro, ma senza porti limiti o autolimitarti. La paura, se vuoi il fallimento (che nel tuo caso fallimento non è perchè comunque hai acquisito competenze che SONO valore), è parte del percorso non la fine dello stesso.
Forza e coraggio e pensa anche all'eventualità di coinvolgere tuo marito in una qualche attività.