Pisa, negli Arsenali medicei apre il museo delle navi antiche

Andrea Camilli (Soprintendenza): «È il più grande museo di imbarcazioni antiche esistente»

Negli Arsenali cinquecenteschi di Pisa, nasce il Museo delle navi antiche. In esposizione: sette imbarcazioni di epoca romana (III-VII secolo d.C.), di cui quattro sostanzialmente integre, e 800 reperti, che raccontano un millennio di storie di commerci e marinai, insieme alla vita di bordo, alla storia della città di Pisa e all'economia del territorio. La cerimonia di inaugurazione si è tenuta domenica 16 giugno alla presenza del ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli.

La grande struttura - nata come arsenale nel tardo Rinascimento, poi utilizzata come stalla, come caserma della cavalleria e infine come centro di riproduzione ippica dell'Esercito italiano - ha previsto un lungo restauro, che, oltre a comportare una complessa analisi filologica, ha dovuto tener conto delle manomissioni subite durante l'intensa storia del complesso. Tra gli interventi, anche il rifacimento della struttura di legno del tetto. Il restauro e l'adattamento delle strutture sono stati seguiti dalla Sovrintendenza.

Ingresso agli Arsenali medicei

Cortile interno

Corridoio interno

Il progetto di restauro e quello museografico sono della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno, responsabile del progetto e direttore dei lavori è Andrea Camilli, funzionario archeologo; mentre il progetto di exhibition design è di Maurizio di Puolo e Anna Ranghi (studio Metaimago). 

Quasi 5mila mq di spazi espositivi, quattro navi integre, tra cui l'ammiraglia Alkedo

La volontà di conservare la struttura degli Arsenali ha condizionato le scelte museali, ad esempio, il mantenimento delle celle dei cavalli ha imposto una narrazione in microcapitoli, mentre nei grandi ambienti hanno trovato posto le grandi navi restaurate. In tutto sono quasi 5mila mq di spazi espositivi, divisi in otto aree tematiche e 47 sezioni.

Alkedo (il Gabbiano), l'ammiraglia della flotta pisana, nave da 12 rematori da diporto ma dalle forme che ricordano una nave da guerra; ha ancora inciso su una tavoletta il suo nome (Alkedo = gabbiano), esposta nella vetrina di fronte. A fianco ricostruzione a grandezza naturale di una nave da guerra (liburna).

Barca "F", appartiene alla tipologia delle lintres, imbarcazioni più piccole per il trasporto merci utilizzate per rapidi e più confortevoli spostamenti e per il trasporto di dettaglio delle merci. Simili alle piroghe, erano realizzate per consentire la remata da un solo lato, come le attuali console veneziane (esemplari esposti del II e III sec.d.C.)

Nave "I" (V sec. d.C.), grande traghetto fluviale a fondo piatto interamente costruito in legno di quercia e rinforzato all'esterno da fasce di ferro; il barcone, manovrato tra le due rive attraverso un sistema di funi, era mosso da riva tramite un argano, il cui asse centrale è stato rinvenuto nel corso degli scavi (esposto nella vetrina accanto all'imbarcazione)

Sono quattro le imbarcazioni integre esposte: l'ammiraglia Alkedo da 12 rematori, la Nave "I" ossia un grande traghetto fluviale, un secondo barcone con ponti e albero ben visibili e una piccola imbarcazione per il trasporto merci. A queste, si affiancano altre navi parzialmente recuperate e la ricostruzione di una porzione del cantiere di scavo. In mostra anche i carichi rinvenuti, che includono gli oggetti personali dei viaggiatori, con migliaia di frammenti ceramici, vetri, metalli, elementi in materiale organico, da giochi per bambini a capi d'abbigliamento, e anche i resti di un marinaio morto con il suo cane: un mosaico che copre mille anni di commerci, navigazioni, rotte, vita quotidiana a bordo e naufragi.

Le anfore ritrovate nello scavo

Ricostruzione di una nave

L'esposizione parte con la storia della città di Pisa tra archeologia e leggenda, fino alla fase etrusca prima e romana poi, conclusasi con l'arrivo dei Longobardi. Si prosegue con un focus sul rapporto della città con l'acqua, dalle catastrofiche alluvioni all'organizzazione del territorio tra canali e centuriazioni, fino a toccare il Porto di Pisa e tutta l'intensa attività produttiva cittadina. Dalla ricostruzione dei cantieri si passa, poi, all'esposizione integrale delle navi, che occupa due campate degli arsenali, per proseguire con le sezioni che raccontano le tecniche di navigazione con un piccolo planetario, per conoscere come gli antichi si orientavano con le stelle, mentre un tabellone elettronico degli arrivi e delle partenze racconta le principali rotte dei porti del Mediterraneo. Il percorso espositivo si conclude con un excursus sulla dura vita di bordo, sia per i marinai che per i viaggiatori, dall'abbigliamento ai bagagli, fino alle abitudini alimentari, ai culti e alle superstizioni.

La "Pompei del mare"

L'apertura del museo è una tappa fondamentale per un percorso iniziato nel 1998, anno in cui nei pressi della stazione ferroviaria di San Rossore vennero alla luce i resti della prima nave. Nacque così il grande cantiere di scavo e restauro realizzato grazie al MiBAC e al contributo di un ricco ed eterogeneo gruppo di professionisti archeologi e restauratori. 

Il progetto di scavo e restauro delle antiche navi di Pisa è uno dei più interessanti degli ultimi anni. «La particolare condizione di conservazione dei reperti racchiusi in strati di argilla e sabbie ha richiesto un considerevole sforzo economico, organizzativo e tecnologico, mettendo a disposizione della ricerca laboratori, depositi, strumentazioni all'avanguardia e logistica devoluti al recupero degli oltre trenta relitti individuati e dei materiali ad essi associati. Il cantiere delle Navi Antiche è quindi diventato un centro dotato di laboratori, depositi e strumentazione che ha visto la collaborazione di decine di istituzioni universitarie e di ricerca italiane e straniere», si legge in una nota per la stampa.

Ricostruzione del cantiere di scavo

Ma cosa ha determinato la presenza di tante navi nell'area di San Rossore? A spiegarlo sono gli archeologi: «Bisogna immaginarsi il territorio, in epoca romana, appena alle spalle di un delta fluviale complesso, perché ramificato e in continuo movimento. Poco a monte dell'Arno, che allora scorreva poco distante, si trovava un bacino naturale del fiume Auser, l'antico Serchio. Non si trattava di un porto vero e proprio, ma di una zona portuale, dove si trovavano navi alla fonda. Non c'erano solo navi da mare, ma anche piroghe e navi di fiume, proprio per il carattere "ibrido" dell'area. Il percorso dell'Auser fu inciso da canali che coincidevano con le maglie della centuriazione».

«Questa strategica organizzazione del territorio causò però periodici disastri a causa della difficoltà dell'assorbimento delle piene fluviali: la portata d'acqua non veniva assorbita dal mare tornando indietro con estrema forza e causando, nelle navi in rada nel bacino dell'Auser, il loro naufragio. Questo avvenne ogni circa 80/100 anni da età augustea (0-15 d.C.) fino al V secolo d.C., a quanto ci testimoniano gli scavi. In questo cantiere, lo scavo è consistito, oltre che nello scavo delle navi e dei reperti, nell'individuazione dei resti delle alluvioni che hanno causato il naufragio delle imbarcazioni (sedimenti), ma anche nel riconoscimento dei diversi fondali che si sono formati nel corso del tempo e dalle turbolenze che, a più riprese, hanno sconvolto i depositi alluvionali». 

Andrea Camilli (responsabile del progetto per la Soprintendenza): «È il più grande museo di imbarcazioni antiche esistente»

«Siamo orgogliosi della chiusura di un percorso che in vent'anni ha coinvolto più di 300 persone dalle professionalità più disparate: archeologi, architetti, storici dell'arte, restauratori e il personale tecnico delle sovrintendenze - dice Andrea Camilli - . C'è un'enorme soddisfazione nel constatare che una struttura statale ha realizzato una grande opera come questa: quasi 5000 metri quadri, innovativi anche sul piano museale. Si tratta del più grande museo di imbarcazioni antiche esistente».

Il marinaio di una nave con il cane

Panoramica degli spazi interni

Ricostruzione depositi

«L'esposizione - continua Camilli - è costruita con un tipo di linguaggio che avvicina il pubblico all'archeologia. Abbiamo eliminato il 'feticismo del reperto', rimuovendo il più possibile le barriere visibili che separano l'utente dall'oggetto, rendendolo apparentemente a portata di mano del visitatore. Anche l'area dedicata alle alluvioni, dove una parete scaffalata rivela con le consuete cassette di deposito i materiali rinvenuti dopo un'alluvione catastrofica, introduce alla tematica della ricerca. Il linguaggio del museo non punta a stupire, ma utilizza un sistema di comunicazione plurilivello che non eccede nel multimediale e ricontestualizza la narrazione con accuratezza storica e scientifica».

La concessione del museo è affidata a Cooperativa Archeologia, che ha seguito negli ultimi anni lo scavo archeologico e il restauro delle navi e dei reperti, sotto la direzione scientifica di Andrea Camilli.

 di Mariagrazia Barletta

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