Equo compenso professionisti, ok al Ddl anche al Senato

di Mariagrazia Barletta

Riceve il via libera anche al Senato il disegno di legge sull'equo compenso che era stato già licenziato alla Camera, alla quale ritorna per un passaggio che si prospetta solo formale, giacché l'unica modifica apportata a Palazzo Madama riguarda la correzione di un errato rimando ad un articolo del Codice di procedura civile abrogato dalla riforma Cartabia. Riferimento che viene aggiornato dal Senato.

Dunque, nulla cambia nella sostanza nel provvedimento blindato dal Governo (prima firmataria la premier, Giorgia Meloni) che era stato già presentato durante la scorsa legislatura e approvato dalla Camera nella legislatura attuale. Il provvedimento, destinato a breve a diventare legge, si propone di tutelare i professionisti nell'ambito dei rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione e i committenti "forti", quali le imprese bancarie, le compagnie assicurative e le aziende di dimensioni medio-grandi. 

Più nel dettaglio, la proposta definisce il compenso di un professionista equo se è proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale. Per essere equo, il compenso deve soprattutto essere conforme ai compensi previsti dai decreti cosiddetti «parametri» e «parametri-bis», ossia dal Dm 140/2012 con cui il ministero di Giustizia ha introdotto i parametri che i giudici impiegano per determinare i compensi in caso di controversie ed dal Dm Giustizia del 17 giugno 2016 che fissa i parametri per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara negli appalti di servizi per architetti e ingegneri.

Chi sono i clienti "forti"

La proposta di legge tenta innanzitutto di ampliare il campo applicativo dell'equo compenso attraverso nuove disposizioni. Va ricordato che già nel 2017 (con il Dl 148) si è tentato di mitigare gli squilibri nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti "forti", individuati nelle imprese bancarie e assicurative e nelle imprese diverse dalle Pmi. Queste ultime, in base ai parametri europei, si identificano con le imprese che occupano meno di 250 persone, con fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro.

Dunque, rispetto alle norme in vigore, la proposta di legge allarga la platea di clienti verso i quali si applicherebbe l'equo compenso. Più nel dettaglio, il testo propone di estendere la disciplina dell'equo compenso alle attività professionali - e più precisamente a prestazioni d'opera intellettuale - che sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese che nell'anno precedente al conferimento dell'incarico abbiano occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o abbiano presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.

Il professionista ha diritto all'equo compenso anche per le prestazioni rese nei confronti della pubblica amministrazione e delle società a partecipazione pubblica. C'è poi un altro paletto: affinché i rapporti professionali siano sottoposti alle nuove misure sull'equo compenso, devono essere regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali.

Le norme previste andrebbero inoltre ad applicarsi ad ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo, purché vincolante per il professionista. Sono escluse dalle disposizioni proposte le prestazioni rese dai professionisti in favore delle società veicolo di cartolarizzazione e degli agenti della riscossione.

Nulle le clausole che prevedono compensi non conformi ai parametri

Le disposizioni del disegno di legge considerano nulle le clausole che prevedono un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali. Il disegno di legge considera nulle anche «le pattuizioni che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l'anticipazione di spese o che, comunque, attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso» dal professionista.

Le clausole vessatorie

L'elenco delle clausole vessatorie, e quindi nulle, è ben lungo e riguarda anche quelle contenute in documenti contrattuali distinti dalla convenzione, dall'incarico o dall'affidamento tra il cliente e il professionista. Vi rientrano la possibilità del cliente di modificare unilateralmente le condizioni del contratto e la facoltà del cliente di pretendere prestazioni aggiuntive in forma gratuita. Il cliente non può inoltre pretendere un'anticipazione delle spese a carico del professionista. Non è inoltre possibile prevedere tempi di pagamento superiori a 60 giorni e sono nulle anche le clausole che impongono al professionista la rinuncia al rimborso delle spese connesse alla prestazione dell'attività professionale oggetto della convenzione. La nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per i restanti contenuti.

Impugnazione e richiesta di rideterminazione del compenso davanti al tribunale

Il disegno di legge prevede inoltre che la convenzione, il contratto, l'esito della gara, l'affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso inferiore ai valori determinati secondo il Dm Parametri possano essere impugnati dal professionista innanzi al tribunale competente per il luogo dove egli ha la residenza o il domicilio, al fine di far valere la nullità della pattuizione e di chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l'attività professionale prestata.

Il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai Dm, tenendo conto dell'opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall'ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull'urgenza e sul pregio e sull'importanza dell'attività prestata. Il giudice che accerta il carattere non equo del compenso pattuito, ridetermina il compenso dovuto al professionista e condanna il cliente al pagamento della differenza tra l'equo compenso ricalcolato e quanto già versato al professionista. 

Il giudice può inoltre condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista, fino al doppio della differenza tra equo compenso e onorario corrisposto, «fatto salvo il risarcimento dell'eventuale maggiore danno».

Il ruolo dei Consigli nazionali

Il disegno di legge prevede anche un aggiornamento ogni due anni dei parametri, su proposta dei Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali. Esigere un compenso che sia giusto, equo, proporzionato alla prestazione professionale e conforme ai parametri diventa un obbligo: l'eventuale violazione potrà essere sanzionata dall'ordine professionale che dovrà adottare disposizioni deontologiche ad hoc.

Le imprese possono adottare modelli standard di convenzione, concordati con i Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali. I compensi previsti in tali modelli standard si presumono equi fino a prova contraria.

Disposizioni transitorie

La proposta di legge prevede inoltre una disposizione transitoria in base alla quale le misure in essa contenute non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della medesima legge.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

pubblicato il: