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Kunsthal: il"cadavres exquis" architettonico

di Giorgia Lo Piccolo

Finalista 2010

La Kunsthal, progettata da Rem Koolhaas/OMA tra il 1988 e il 1992, è un'architettura ibrida, dal punto di vista concettuale e formale.

Etichettata come "un idiosincratico collage di tutte le più riconoscibili icone della modernità" [1] , per le citazioni auliche che ha saputo così bene riprendere e trasformare, "un'opera costruita con idee scartate e inattuali, alcune vecchie più di cinquant'anni" [2] , un "box of tricks" [3] , la Kunsthal è, comunque, un'altra delle merveilles architettoniche di Rem Koolhaas, che con i suoi progetti visionari per Manhattan e New York, e le sue architetture sparse per mezzo mondo, ha sicuramente rivoluzionato il modo di pensare e fare architettura.

Al visitatore che arriva dalla rampa del Museum Park (nucleo verde di cultura della città di Rotterdam), la Kunsthal mostra una delle sue eterogenee façade , realizzata con travertino e vetro, leggero diaframma che dialoga con il parco.

L'attenzione è immediatamente catturata da immagini disegnate sulle porte, frecce dal design semplice ma curioso (la grafica ricorda gli Isotype di Otto Neurath), che indicano il varco d'ingresso a quello che sembra un museo, ma che un museo non è (non ha una collezione permanente).

Contenitore e contenuto appaiono perfettamente in sintonia. Il packaging case della Kunsthal annuncia nella molteplicità delle sue facciate, l'eterogeneità delle mostre che è pronta a proporre al visitatore che ne varcherà la soglia: rassegne d'arte, fotografia, architettura, design, cinema, installazioni.

La Kunsthal vista nella sua interezza si mostra come una larga, piatta scatola quadrata con la sua stretta e alta torre come accento verticale.

L'edificio non ha una facciata principale, non ha un davanti né un retro evidente, ogni façade è suddivisa in fasce d'altezza di un piano realizzate in lastre di pietra, cemento grigio o dipinto di nero, vetro trasparente o smerigliato.

Il loro differente disegno risponde alle "necessità formali e simboliche delle loro rispettive situazioni" [4] , e suggerisce il richiamo all'uso metaforico dei materiali che Koolhaas aveva scoperto, agli inizi degli anni Settanta, nella poetica dell'architetto costruttivista Ivan Leonidov. Negli spigoli dell'edificio, nell'incontro dei quattro differenti prospetti e materiali, Koolhaas ripropone la poetica della giustapposizione e dei contrasti tettonici: tra gli angoli non c'è mai unione o allineamento.

 Le varie parti che compongono l'edificio sembrano essere accatastate con disinvoltura l'una sull'altra, e i materiali così differenti, siano essi costosi e classici, oppure economici e comuni, conferiscono all'edificio un aspetto mutevole, una sorta di collage di elementi tra loro disparati e contrastanti, un cadavres exquis surrealista da cui nasce "un ibrido poetico prodotto dal subconscio" [5] . Lo stesso Koolhaas sostiene che "è ingannevole suggerire che l'edificio sia un'unità, un tutt'uno. In una società basata sulla velocità e il cambiamento, con macchine aeroplani e televisione, quasi tutto è visto di sfuggita, in frammenti" [6] .

Oltre ad essere un contenitore museale, la Kunsthal è un'intersezione di traffico, un passage sempre aperto, l'elemento di definizione del margine sud del rettangolo verde del Museum Park. L'edificio si appoggia alla diga marina del Westzeedijk, e presta una delle sue façade alla retta viaria del Maasboulevard, facciata che sembra riflettere, con il lungo nastro vetrato e il quasi nulla di acciaio e ferro ondulato della copertura, la frammentazione di una visione.

Vista come una sorta di chiatta attraccata ai bordi della diga del Westzeedijk, la Kunsthal richiama alla mente una delle numerose figure del vocabolario simbolico di OMA, la Floating Swimming Pool [7] , elemento che risale alle prime riflessioni teoriche di Koolhaas intorno agli anni Settanta. Nel caso della Kunsthal, la metafora della piscina galleggiante – il suo essere capace di una deriva continua e il suo non essere radicata al suolo – riappare in forma di Floating Box, una box a pianta quadrata che accoglie opere d'arte ancorata ai bordi del Maasboulevard. Lo stesso Koolhaas attribuendole la capacità "di fluttuare sopra il parco al livello della diga" [8] , ammette evidentemente la sua fonte d'ispirazione.

 

La spirale nascosta e le 4 piazze

L'edificio della Kunsthal è concepito come una piazza attraversata da due strade: la prima è la strada già esistente che corre parallela al Maasboulevard, ma al livello del parco, in direzione est-ovest; l'altra è una rampa pedonale con direzione nord-sud, che è sia l'entrata della Kunsthal che l'entrata del parco, il passage sempre aperto. L'incrocio delle due vie di comunicazione produce in pianta la suddivisione dell'area in quattro parti separate, e da questo presupposto si genera l'edificio.

 Lo stesso Koolhaas si pone, nelle fasi progettuali, una domanda ben precisa: " [ … ] How to imagine a spiral in four separate squares? [9] ". Cioè provare a disegnare un museo come quattro progetti indipendenti, contraddistinti da sequenze e viste contraddittorie, ma che risultino omogenei nella loro coerenza strutturale per formare la spirale continua nascosta.                                   

E come se nelle parole di Koolhaas ritornasse il concetto surrealista del Cadavres Exquis, del collage di elementi disparati, o ancora le sue prime sperimentazioni sul Tektonik costruttivista risalenti agli anni di insegnamento alla  AA School of Architecture di Londra (1975-80).

La Kunsthal nasconde al suo interno quella spirale ininterrotta che le consente di essere un circuito continuo, e che le permette di essere utilizzata sia come spazio unitario che come spazio singolo e moltiplicato, con i suoi 3.400 m2 di superficie espositiva.

L'utilizzo di questa spirale rettangolare potrebbe rimandare a una variazione dell'utopico progetto di Le Corbusier per il Musée a croissance illimitée (1939), reinterpretato da Koolhaas con la sottile e spiazzante ironia architettonica che lo contraddistingue.

Il surreale percorso inizia nel migliore stile firmato OMA: a metà dell'inclinata rampa pedonale che attraversa la Kunsthal, una porta, ricavata nella parete di perspex ondulato, immette direttamente all'interno dell'Auditorium, una grande rampa gradinata costituita da 325 sedute, vetrata su due lati.

Comincia il gioco spiazzante dei contrasti.

Il "muro cavo" di policarbonato ondulato, che alloggia al suo interno servizi, scale, ascensori e biglietteria, è trasformato in un involucro opalescente dai neon installati nelle intercapedini; il suo settore mediano, prolungato oltre la copertura per contenere condotte e macchine per impianti tecnici, forma la cosiddetta "Decorated Shed", l'alta torre che funziona come cartellone pubblicitario.

I pilastri che attraversano l'Auditorium sono posti ortogonalmente rispetto al piano della platea e risultano perciò inclinati con un effetto di equilibrio strutturale precario.

Il soffitto inclinato e i pilastri instabili si ripropongono nel ristorante-caffè dando luogo a due zone: una più alta e luminosa, l'altra più bassa e intima. In questo spazio dicotomico, pannelli di legno grezzo rivestono il pavimento e soffice lana cotta avvolge le pareti; il corrimano delle scale fuoriesce dal pavimento, come un traliccio lasciato a vista; il soffitto s'impone su questo surreale accostamento di materiali con rigide nuvole di neon dell'artista Gunter Förg.

Dall'Auditorium si scende nella Hal 1, sala posizionata alla quota del parco.

Davanti agli occhi del visitatore si presenta un'immagine bella come l'incontro casuale di una macchina da scrivere e di un ombrello su un tavolo operatorio, per dirla con Lautremont: gli alberi del parco si sono sostituiti alle colonne di calcestruzzo e il sottile diaframma vetrato della facciata sul parco crea uno sfondo di paesaggio incorniciato. I pilastri rivestiti di cortecce cave di alberi, nella disposizione a quinconce, riproducono perfettamente un filare da giardino. Basta poi sollevare lo sguardo per continuare a seguire il gioco degli accostamenti contrastanti: tubi di neon, come punti grezzi di sutura, si contrappongono al soffitto nero. Luce naturale e luce artificiale rendono questo spazio adatto soprattutto ad eventi che utilizzano speciali effetti luminosi.

Seguendo la spirale si giunge alla Hal 2, spazio aperto e intensamente luminoso particolarmente adatto ad accogliere le mostre di pittura. Sottili colonnine d'acciaio arancione, in modo del tutto casuale, sostengono e tratteggiano il soffitto/lucernario di policarbonato opaco che alloggia al suo interno le condotte degli impianti di condizionamento. Si svela ancora una volta il tipico modo di Koolhaas di trattare dettagli e particolari costruttivi per rivelare il "subconscio dell'infrastruttura [10] ".

Il percorso del visitatore continua nella Hal 3, e in una stretta galleria ad essa connessa per interrompersi bruscamente su un balcone in bilico sulla Hal 2.

Una breve diramazione della spirale, proprio davanti all'ingresso della Hal 3 permette di raggiungere il roof-garden, piccolo giardino posto sulla copertura piana dell'edificio (altro ricordo lecorbuseriano).

La Hal 3 è la sala espositiva posta più in alto (trovandosi al di sopra del ristorante e dell'auditorium) e per la totale assenza di finestre, è perfetta per l'esposizione di materiali sensibili alla luce come disegni e fotografie. Inoltre, il particolare uso dei pilastri inclinati che puntellano i solai orizzontali, crea originali tagli e inusuali vedute prospettiche.

La Kunsthal come progetto organizzato intorno a spazi separati e dissimili, in cui ogni ambiente è caratterizzato dall'impiego di materiali eterogenei e da giochi di luce diversi, esaudisce la sua aspirazione ad accogliere mostre tra loro differenti.  

 Nonostante le evidenti citazioni e i continui riferimenti al razionalismo di Mies van der Rohe e alla spirale continua di Le Corbusier, Rem Koolhaas utilizza il suo vocabolario costruttivo con sapiente maestria, poiché il recupero del passato non è mai nostalgico, ma sempre ironico e spiazzante. Questo gli permette di decostruire la scatola in ambienti accostati o accatastati l'un sull'altro, di contrapporre al marmo italiano il perspex ondulato, di lasciare dettagli a vista, come dimenticati, e di rifinire con la massima cura altri.

Sta proprio in questo gioco di Cadavres Exquis architettonici, la sua capacità di coniugare poetica e prassi, spazi intimi e bui, con ambienti luminosi e aperti, il razionalismo e il costruttivismo con un nuovo surrealismo architettonico firmato OMA.

[1] H. Ibelings, Una macchina espositiva per la città, in Abitare, n. 317, 04/93, Rizzoli editore, Milano 1993, p. 190.

[2] R. Gargiani, Rem Koolhaas/OMA, Editori Laterza, Roma – Bari 2006, p. 91.

[3] I. Schwartz, Kunsthal Rotterdam, a+t ediciones, Spagna 2003, p. 4.

[4] R. Koolhaas, Delirious New York. Un Manifesto retroattivo per Manhattan , Electa Milano 2001, p. 282.

[5] R. Koolhaas, Delirious New York, op. cit., p. 239.

[6] I. Schwartz, Kunsthal Rotterdam, op. cit., p. 4 .

[7] Il tema della Floating Swimming Pool elaborato da Koolhaas per il concorso della Welfare Island a New York (1975), riprende e sviluppa l'idea di Ivan Leonidov che vedeva nella piscina il simbolo della nuova vita dell'uomo sovietico.

[8] R. Koolhaas, Kunsthal I, in R. Koolhaas, B. Mau, S, M, L, XL. Office for Metropolitan Architecture, Monacelli Press, New York 1995, p.429.

[9] R. Koolhaas, Life in the Box?, in R. Koolhaas B. Mau, S,M,L,XL, op. cit., p.431.

[10] R. Koolhaas, Delirious New York, op.cit.,p. 264.

 

Giorgia Lo Piccolo

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