Arch&Cons : [post n° 333524]

Architetti europei: cosa sappiamo di loro?

Di cosa si occupa l'architetto nei paesi europei? Quali sono le competenze di base necessarie (richieste dai vari mercati) e cosa può firmare? Può firmare "tutto" come in Italia, anche a fronte di nessuna competenza in materia, oppure i sistemi di accreditamento per alcune specializzazioni esistenti in alcuni paesi (basati su titoli di studio, esperienza e verifica delle competenze effettive) limitano le sue competenze? Chi è specializzato ed ha tutti i possibili titoli italiani in materia, ha qualche possibilità, rimettendosi a studiare, di recuperare il divario che purtroppo c'è con gli specialisti europei? Oppure ci hanno raccontato tante frottole, ma poi a conti fatti, nessuno è interessato a noi perchè i loro connazionali sono più preparati e più accreditati?
Francesco R. :
Per esperienza personale le principali differenze che ho potuto notare sono le seguenti:

1 - Competenze più compartimente e più tendenza a specializzarsi in un determinato settore.
1 - Maggiore propensione a diventare imprenditori della propria firma (e di conseguenza a delegare i dipendenti su molti aspetti legati al design).
2 - Maggiore capacità di marketing della propria attività.
3 - Ridotta (per fortuna) "casabellianità"
4 - Più importante di tutti gli aspetti: tanta gente accetta di rimanere come dipendente o socio ombra di uno studio per decenni perchè capisce che é l'unico modo per crescere con esso anche se non comparirà mai il suo nome su un certo edificio. In Italia secondo me troppa gente vuole essere capo di qualcosa...

Dalla nostra parte la flessibità é una carta vincente se opportunamente sfruttata ed é una capacità che gli architetti europei di base NON HANNO!


spero di avere aiutato...
Arch&Cons :
Ti ringrazio per la tua risposta. Io non ricevo nessun tipo di risposta per candidature a ruoli non specializzati, mentre con candidature altamente specializzate ricevo risposte (a testimonianza di ciò che hai detto), ma poi mi scontro con il valore nullo di una laurea, il generalismo di un'abilitazione che non da nessuna indicazione sulla specializzazione e il grande valore che loro attribuiscono agli accreditamenti rilasciati da enti esistenti nel loro paese o internazionali per la suddetta specializzazione. Quindi, a fronte del problema di avere i requisiti per l'accreditamento (e non esistendoci in italia un sistema del genere, non si riesce a far riconoscere quasi niente perchè non ci si è scontrati con percorsi simili e non si hanno i dati sufficienti nel curriculum), è necessario trovare un datore di lavoro che abbia pazienza e che capisca la difficoltà. Quindi spesso si viene scartati per questo "semplice" motivo.
Francesco R. :
quello che dici mi suona familiare...

purtroppo le selezioni venono fatte da persone che tante, troppe volte, non capiscono o non vogliono capire che una persona può essere qualcosa di più di quanto scritto su un CV.

comunque, giusto per smussare quanto hai detto, la "specializzazione" esiste solo nel momento in cui si ha lavorato per 3-5 sulle stesse cose.
se uno ha avuto una formazione e una esperienza variegata (per scelta, per caso, per sfiga, quello che vuoi) allora si deve fare forte di tale cosa e insisterci sopra!
Ily :
Francesco R, a proposito del punto 4: non è che magari semplicemente nel resto d'Europa i dipendenti di studi tecnici:
a) sono ben pagati e assunti in regola, con ferie, malattia, maternità eccetera, e quindi sono appagati di fare il dipendente?
b) i collaboratori non dipendenti hanno (oltre a uno stipendio dignitoso) effettiva libertà di orari e organizzazione del lavoro loro affidato?
Quanti, in Italia, si mettono in proprio solo per disperazione? Solo perché è l'unico modo per cercare di guadagnarsi da vivere dignitosamente?
Edoardo :
Ily mi hai rubato le parole di bocca. Molti fanno i fenomeni, ma pochi hanno l'onestà intellettuale di ammettere che purtroppo si è costretti a mettersi in proprio dalla realtà deregolata e dalla mentalità bottegara (e protetta dalla politica) che imperversa non tanto, come è purtroppo comprensibile, nei piccoli studi... ma soprattutto nelle realtà che hanno in mano il grosso del lavoro... ed alludo al gotha dell'architettura/ingegneria. All'estero imho, se lavori nel gotha perchè vali, hai di conseguenza di più. Inoltre da noi il nepotismo + clientelismo uccidono meritocrazia e libera concorrenza. La conseguenza è l'involuzione culturale e tecnica, la morte farmacologica.
Francesco R. :
@ Ily:
punto A - dipende da paese e paese ma in generale vedo che si rimane dipendenti e si cresce con gli studi perchè la gente sa anche dire a se stessa "io non so fare questo o quello, quindi non posso fare l'autonomo"
punto B - per esperienza personale questo lo vedo accadere ma non tantissimo in UK. altri paesi che ho visto (spagna portogallo e belgio) usano il sistema delle finte partite iva.

@Edoardo:
é proprio la mentalità bottegara che menzioni che mi ha fatto venire via. Perchè può essere di non avere altra scelta, ma troppe volte ho visto gente che si metteva a fare l'indipendente solo perchè fa figo... e non sono pochi.
Edoardo :
E' vero Francesco, di gente che si mette in proprio con tanti soldoni di babbo od amici pronti per coprire le loro avventure ce n'è. Quello che mi fa più inc___are è che fanno i maestri di vita... e sentono tutto il mondo sulle loro spalle.
Francesco R. :
@ Edoardo:
esattamente quello di cui parlavo. E tizi del genere ne ho trovati tanti anche fuori dall'Italia.
Pero' mi sembra che qui si stia divagando dall'argomento lanciato da ARch&cons...
ponteggiroma :
@ francesco: infatti si divaga, come sempre qui, a me interessavano piuttosto i punti 2 e 3 da te elencati. Potresti dirmi qualcosa in più in merito, se ti va
Francesco R. :
certo

punto 2 - il marketing di uno studio va oltre la semplice leccatina a un potenziale cliente. di conseguenza si agisce anche in modi diversi...

Punto 3 - mi riferisco alla capacità di un architetto di "vendere" un progetto riuscendo a parlare di architettura al cliente ed evitando terminolgia e concetti astratti degni degli articoli della famosa rivista... il tutto senza scadere nella commercialità di un agente immobiliare.

ha senso?
ponteggiroma :
in merito al punto 3 chiarissimo e condivido in tutto e per tutto, infatti è quello che ho sempre combattuto nel dibattito accademico italico, ma mi interessava di + il punto 2, ovvero cosa intendi esattamente per "modi diversi" di accaparrarsi un cliente ed inoltre mi piacerebbe capire meglio il concetto che il titolare dello studio si occupa "di diventare imprenditore della propria firma". Significherebbe che non si occupa tanto della parte operativa progettuale, bensi delle public relations, delegando ai dipendenti la gestione del progetto in toto?
Grazie per la disponibilità
Francesco R. :
@ ponteggiroma:
prendere un cliente "in altri modi" significa a volte andare a relazionarsi ad uomini d'affare in veste di uomo d'affare (invece che di architetto). Di conseguenza la conoscenza diretta di un potenziale cliente o le raccomandazioni non sono condizioni indispensabili. A volte un CV e un portfolio ben studiati bastano!

Di recente ho letto un libro in cui si diceva che spesso gli architetti cannano il loro vendersi proprio perche' pensano come tali invece di ragionare come uomini d'affari.

Per quanto riguarda il secondo punto, in tanti affermano che arriva un punto in cui per mandare avanti la baracca devi per forza lasciare il "fare architettura" ai sottoposti. Perche' alla fine ti rimane solo il tempo per "parlare di architettura" con loro.
In soldoni, la mancanza di fiducia dei capi per i sottoposti e' la prima causa della loro non riuscita negli affari.

Per citare due esempi, a londra e' risaputo che Zaha Hadid o Foster passano una risibile quantita' di tempo a guardare i progetti. Il resto del tempo lo passano a fare "attivita' promozionale".

ha senso?
Avvisami quando qualcuno risponde
Non mandarmi più avvisi

Se vuoi essere avvisato quando qualcuno interviene in questa discussione, indica un nome e il tuo indirizzo e-mail.