Archifish : [post n° 474115]

Rurale contemporaneo

Committenza proprietaria di un fabbricato ex rurale in zona agricola. Volontà di demolire e ricostruire con differenti sagoma e sedime. Da riunione con l'U.T comunale emerge che, consapevoli di essere dotati di uno strumento urbanistico obsoleto, recepiscono le nuove normative e nulla hanno da obbiettare sulla fattibilità dell'operazione.
Purtroppo, il suddetto strumento urbanistico, normando nel dettaglio gli interventi di recupero del patrimonio rurale (e non quelli di demolizione/ricostruzione), impone la conservazione dei caratteri tipici dell'edilizia del luogo. Risultato: il nuovo fabbricato deve necessariamente prevedere due piani fuori terra e/o volumi a doppia altezza, severamente vietate aperture vetrate ampie, che alterino i rapporti dimensionali delle tipiche finestrature delle case di campagna o la simmetria delle medesime sui prospetti. A questi macroscopici paletti, si aggiunge una serie di altre non univocamente interpretabili imposizioni sul rispetto della tradizione. In poche parole, qualsivoglia proposta progettuale assimilabile ad una villetta monopiano è pressochè certo venga respinta al mittente.
Premesso che tale interpretazione restrittiva scaturisce dal fatto che le norme nascono per indirizzare gli interventi su fabbricati esistenti (e non su nuove costruzioni) e che la committenza, per esigenze personali, non vuole e non necessita di locali posti al piano secondo, non trovate che tutto ciò, oltre a rischiare di far "saltare" possibili interventi edilizi, si traduca in una forte limitazione della possibilità di esprimersi architettonicamente ed evolvere il patrimonio immobiliare del futuro? A che scopo una commissione edilizia, unitamente ad un U.T. comunale, dovrebbero impedire, a priori, l'espressione di una volontà ed un esigenza progettuali che non è detto si rivelino poco rispettose del contesto solo perchè orientate verso fabbricati monopiano o con ampie aperture finestrate? E' qualitativamente migliore un falso storico rispetto ad uno sforzo concettuale che reinterpreti in chiave contemporanea un'edilizia rurale?
Puntualizzo che non era certo nostra intenzione proporre un fabbricato in puro "Miami style" e che la tanto decantata architettura rurale alla quale pretendono ci si uniformi, è, nel nostro contesto, un mix di ruderi abbandonati a rischio crollo, enormi cascine che nessuno mai si degnerà di recuperare, capannoni prefabbricati per ricoverare i mezzi agricoli, porcilaie e stalle in acciaio o C.A.
Che ne pensate?
archspf :
Essendo pienamente d'accordo con tutte le ragioni e sposando appieno la tua stessa "filosofia" parto subito dal ribaltare la frase "E' qualitativamente migliore un falso storico rispetto ad uno sforzo concettuale che reinterpreti in chiave contemporanea un'edilizia rurale", che rappresenta la chiave di lettura di paesi "atrofizzati" nella invana ricerca di una identità (forse mai posseduta; cit. il mio professore di restauro!), invocando principi superati volti a mantenere un certo (spesso infondato ed anzi, del tutto falso) tradizionalismo: la cultura dei "replicanti", ovvero tutto quello che probabilmente non sarebbe mai stato e che qualcuno si prende la licenza di imporre come certezza assoluta.
E' il bigottismo dell'architettura portata ai massimi livelli attraverso regole inventate o dove il senso della vera conservazione dei valori sfuma in una artificiosità tecnica che può solo portare a soluzioni standardizzate e quanto mai rispettose della tradizione stessa che invece, lo dico convintamente, dovrebbe portare piuttosto ad una "continuità" attraverso una reinterpretazione contemporanea.

Anzi che almeno l'architettura rurale che descrivi dimostra un eco di riconoscibilità, perchè spesso vedo nelle campagne delle mie parti (Lazio) la contraddizione di ecomostri che con la cascina ed il rudere non hanno nulla a che vedere....però noi non possiamo fare "ampie aperture finestrate".
MG arch :
Quoto le perplessità e i controsensi di un edilizia imposta come tradizionale, ma che nei fatti concreti punta solo al mimetismo di edifici collocati in presepi mai esistiti.
Detto ciò, tempo fa per una villa unifamiliare avevamo il divieto di fare grandi vetrate (paese nella campagna modenese) l'abbiamo aggirato con la questione bioclimatica, riprendendo un articoletto deroga nelle NTA:
grande apertura a sud, ben schermata, ventilazione naturale ecc ecc.. (ma non avevamo l'ostacolo della commissione locale paesaggio)..
sclerata :
beh... posto che non so la tradizione locale dove si inserisce questo progetto cosa preveda, posto che so in cosa consta il tuo progetto, spero vivamente che non sia uno dei soliti scatoloni bianchi con tetto piano e variante di gronde / sporti in grigio antracite o tripudio di ferro corten come se ne vedono indistintamente da nord a sud isole comprese.
Sai quelle cose che nei render sono fighissime, poi nella realtà sembrano dei cartonati.

Certe volte ben vengano anche i vecchi materiali locali... e no... non sono nemmeno un'amante delle vetrate immense ... quindi che dire, sta a te progettista coniugare le due cose... le richieste del comune e quelle della committenza. E' quello il lavoro secondo me.
Non perchè a me (architetto) me piace la vetratona e il ferro corten li butto dappertutto in barba al contesto... ma non credo, e mi auguro, che non sia il tuo caso caro Archifish
Archifish :
La mia riflessione verte su limitazioni, già di per sè assurde se si tratta di recupero dell'esistente, che vengono applicate, per un'errata lettura del regolamento edilizio, anche alle nuove costruzioni.
Specifico è sottolineo la questione dell'errata interpretazione poichè, nero su bianco, nel R.E. non è scritto da nessuna parte che i limiti siano così drastici. si fa menzione al rispetto ed alla conservazione dei caratteri dell'architettura locale/tipica (che vuol dire tutto e niente).
Se poi vogliamo entrare nel dettaglio, lungi da me trasformare l'occasione progettuale in un mero sfoggio di quanto viene usato ed abusato nell'architettura contemporanea. Sono il primo, con il pieno consenso della committenza, a voler immaginare un fabbricato consono al contesto senza pregiudizi di sorta sui materiali. A dirla tutta ci saremmo orientati su copertura a falde in legno, ampie superfici porticate, intonaci nei colori della tradizione e per quanto possibile recupero dei materiali provenienti dalla demolizione dell'esistente (sicuramente i coppi, forse il laterizio per elementi/porzioni faccia a vista attualizzati nelle forme).
Ciò nonostante mi sfugge come una commissione (colleghi, in teoria, ergo soggetti che dovrebbero avere la nostra stessa formazione culturale) possano arrogarsi il diritto di giudicare incongruo a prescindere un intervento che prevede un fabbricato monopiano (a dire il vero, si fanno bastare volumi a doppia altezza, se poi, nel mezzo, ci sia un solaio, un soppalco o il nulla, a loro non interessa, ma al cliente tocca comunque spendere in materiali, oneri concessori, manutenzione e climatizzazione per qualcosa che non desidera). Il discorso finestrature, è altrettanto assurdo poichè scaturisce da una generica norma sulla conservazione dell'unitarietà/composizione dei prospetti esistenti oggetto di modificazione, però, per assurdo, è consentito il recupero volumetrico di portici e fienili, chiudendo i medesimi con pareti o vetrate.
Tutto ciò premesso, sono convinto che si tratti, in gran parte, di terrorismo psicologico volto ad evitare villini "cubici" con tetto piano che stanno proliferando in ogni dove in centro abitato (senza possibilità di vietarli) in virtù del massimo risparmio (per il costruttore) e somministrati a committenze ignoranti che acquistano casa "sulla carta". Ciò non toglie che assumersi il rischio di presentare qualcosa di assolutamente rispettoso del contesto, ma al di fuori dei canoni verbalmente imposti, espone il committente al rischio di vedersi rigettata la proposta e/o all'onere di richiedere continue valutazioni preventive fino all'accettazione della proposta progettuale.
sclerata :
che spesso regomenti edilizi e prescrizioni paesaggistiche del pgt non collimino è un dato di fatto. Non ho ancora trovato un comune dove questo accade e forse l'intento è quello che dici tu di
" terrorismo psicologico volto ad evitare villini "cubici" con tetto piano che stanno proliferando in ogni dove in centro abitato (senza possibilità di vietarli) in virtù del massimo risparmio (per il costruttore) e somministrati a committenze ignoranti che acquistano casa "sulla carta""
però come sempre il troppo stroppia...troppi cavilli, troppe pippe mentali delle commissioni paesaggio (che valgono solo per alcuni professionisti, per altri chissà perchè non valgono...).
Ricordo ancora un progetto bocciato ad un collega per via di un tetto a padiglione lamentando che non era "tipico del luogo" ... senonchè praticamente tutti i fabbricati limitrofi avevano il tetto a padiglione...
desnip :
"E' qualitativamente migliore un falso storico rispetto ad uno sforzo concettuale che reinterpreti in chiave contemporanea un'edilizia rurale? "
Potrebbe essere lo slogan di una battaglia che conduco da anni... E il problema è che ti scontri con un muro fatto non solo di commissioni varie (quindi "colleghi con la nostra stessa formazione culturale"), ma anche contro un'opinione pubblica fatta di pseudo ambientalisti per i cavoli loro.
Racconto da anni in questo forum come nel mio paese (che in realtà è una città) sia invalsa l'abitudine di concedere interventi di demoricostruzione di ruderi senza alcun valore o significato solo a patto di ricostruirli sottoforma di classici palazzi ottocenteschi con tanto di lesene e cornicioni vari sagomati in cemento.
Poi da due o tre anni, complice il superbonus e un piano casa rinnovato, si comincia a demoricostruire con una edilizia propria degli anni 2000 e non finto "stile primo Novecento" ed ecco tutta l'opinione pubblica sbraitare contro la "colata di cemento", gli ecomostri e blablabla...
Archifish :
A volte, cercando ispirazione o semplicemente curiosando, capito su portali tematici che sono "raccoglitori" di progetti (per lo più realizzati) in giro per l'Europa e per il mondo. Ho la sensazione che esistano Paesi (tutti tranne il nostro a dire il vero) dove una regolamentazione snella ed una committenza illuminata permettono all'architetto ed all'architettura di esprimersi, sovente con risultati apprezzabili e/o comunque inimmaginabili nel nostro vetusto ed arroccato "impero romano". Passando da ville da svariati milioni di € e svariati milioni di metri quadri a piccole residenze in mezzo ai boschi, da fienili recuperati ad ampliamenti di fabbricati rurali, soprattutto in campo residenziale, non posso fare a meno di invidiare espressioni progettuali che da noi non sarebbero possibili per la miriade di vincoli imposti e complicazioni burocratiche.
Concludo con un ulteriore riflessione. Tutto l'ammasso di paletti energetici, sismici, paesaggistici, storici, ecc hanno finito, nel nostro Paese, per rendere l'architettura una cosa da ricchi, mentre oltre confine osservo espressioni anche su piccola scala alla portata della classe media o medio-bassa. Non so se sia dovuto ad una deregulation effettiva. O forse vige una diversa apertura mentale da parte di chi deve autorizzare le costruzioni e non si intromette al di là del rispetto di norme imprescindibili in materia di sicurezza ed igiene.
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