Salve a tutti!
In questo periodo mi trovo alla ricerca di un nuovo lavoro. Ho dodici anni di esperienza, maturata tra collaborazioni con studi e cantieri di rilievo — soprattutto considerando le dimensioni della regione in cui vivo.
Negli ultimi tempi, però, sento forte l’esigenza di avvicinarmi a casa e dare più spazio alla mia vita personale e alla mia famiglia (il mio compagno e i nostri due gatti). Percorrere ogni giorno tra gli 80 e i 100 km per andare al lavoro da anni sta diventando davvero pesante.
Ho iniziato a fare alcuni colloqui, ma devo ammettere che alcune esperienze mi hanno lasciata perplessa e volevo condividerlo con voi. In uno studio, quando ho espresso il desiderio di avere maggiori certezze rispetto a una collaborazione definita dalla titolare come “un esperimento”, mi sono sentita dire che “noi giovani d’oggi non abbiamo passione per il lavoro e non vogliamo scommettere su noi stessi”.
Ho cercato di spiegare che la passione non mi manca: se non ne avessi, non farei ogni giorno 100 km per lavorare, né avrei resistito a uno dei miei primi impieghi, in cui lavoravo full time per 400 euro (fatturati).
In un altro studio, mi è stato proposto un mese di prova a 1000 euro (sempre in fattura) e poi un inserimento a 1800 euro (fatturati), che al netto delle spese diventano circa 1200. Mi sono chiesta quale fosse il ragionamento dietro l’idea di offrire a un architetto con 12 anni di esperienza uno "stipendio" del genere. Quando ho espresso la richiesta — secondo me legittima — di 1800 euro netti, mi è stato fatto capire che, per quella cifra, avrei dovuto essere almeno “Renzo Piano”.
Ammetto che tutto questo mi ha delusa e, sì, anche un po’ demotivata. Perché sembra che parlare apertamente di retribuzione o di sicurezza economica sia quasi un tabù, come se chiedere di essere pagati in modo equo significasse non avere passione per ciò che si fa.
Non credo sia così.
Mi piacerebbe confrontarmi con chi vive situazioni simili o magari si trova a offrire quelle cifre e quindi può spiegarmi, senza giudizi né critiche — solo un confronto onesto. Perché, lo ammetto, sto iniziando a perdere un po’ di fiducia, e vorrei tanto ritrovarla. vi ringrazio!
mausi88 : [post n° 497001]
Vocazione in crisi
Io ho sempre lavorato nello studio dove sono tuttora; dopo 20 anni il mio stipendio è circa 1200 euro al mese, ed è su carta un part-time (in realtà è quasi full time). L'opinione sui dipendenti in genere, non su di me in particolare, è: sono privilegiati perchè vengono pagati tutti i mesi, anche se sono in malattia o ferie; sono fancazzisti perchè tanto a fine mese hanno lo stipendio; li formi e poi se ne vanno. Per quanto mi riguarda ce l'ho messa tutta per dimostrare il contrario, e il rapporto è sempre stato più che buono: io lavoro senza risparmiarmi, ma se ho avuto un problema ho sempre trovato aiuto (ad esempio durante la gravidanza e i primi anni di maternità, durante il covid). Eppure so benissimo che se le condizioni lo dovessero richiedere sarei lasciata a casa; sicuramente con tutta la gentilezza possibile, ma senza appello. Lo sai perchè? Perchè le commesse non sono le mie, io sono solo un "braccio", e chi è titolare dello studio tutela per prima cosa i propri interessi. Ovviamente ti parlo della mia piccola realtà.
nello specifico non so come siano le cose, io non sono mai stata "dipendente" di uno studio di architettura ... dipendente lo metto tra virgolette perchè mi pare di capire, anche leggendo su questa piattaforma, che chi lavora in uno studio fa fattura di X ogni mese, quindi non è un dipendente vero, ma nei fatti...
Sono stata dipendente vera in un'impresa di costruzioni e il mio stipendio era circa 1700 euro nette, ovvimente, con 13esima e 14esima. Per stare a quei livelli lì uno dovrebbe fatturare 50mila euro all'anno.
E se tu architetto anche con anni di esperienza pretendi IN ITALIA di lavorare in uno studio e fatturare 50mila all'anno stai sognando.
Da quello che mi pare di vedere qua i 1800 al mese (mettici in più il 4%...) sono il massimo a cui potresti aspirare.
Parli di vocazione, per cui immagino che tu abbia passione, abbia voglia... 12 anni non sono pochi (poi dipenden cosa hai fatto) .. ma se invece di cercare di stare "sotto padrone" provassi tu, da sola?
Sono stata dipendente vera in un'impresa di costruzioni e il mio stipendio era circa 1700 euro nette, ovvimente, con 13esima e 14esima. Per stare a quei livelli lì uno dovrebbe fatturare 50mila euro all'anno.
E se tu architetto anche con anni di esperienza pretendi IN ITALIA di lavorare in uno studio e fatturare 50mila all'anno stai sognando.
Da quello che mi pare di vedere qua i 1800 al mese (mettici in più il 4%...) sono il massimo a cui potresti aspirare.
Parli di vocazione, per cui immagino che tu abbia passione, abbia voglia... 12 anni non sono pochi (poi dipenden cosa hai fatto) .. ma se invece di cercare di stare "sotto padrone" provassi tu, da sola?
La mia è una riflessione più ampia. Mi chiedo perché il nostro lavoro debba sempre passare attraverso passione, sacrificio e una sorta di “gloria” come unica ricompensa, invece di essere semplicemente — e giustamente (tra tante virgolette) — pagato come molti altri lavori nel mondo.
Perché il "dipendente" di uno studio di architettura deve assumersi il rischio d’impresa, quando di fatto è solo il “braccio” operativo? E se quel braccio non ci fosse, come farebbe il titolare a portare avanti il lavoro? Non capisco perché al dipendente venga richiesto di spendersi per la causa come se lo studio fosse suo, in cambio di una paga minima e orari impossibili per rispettare le consegne.
Conosco molte persone che lavorano in altri settori e, per stipendi simili (circa 1.200 euro al mese), hanno meno responsabilità, meno stress e — soprattutto — più vita al di fuori del lavoro.
E mi chiedo, con dispiacere, perché nel nostro campo continuiamo ad accettare tutto questo come se fosse “normale”.
Non sto chiedendo di guadagnare 50.000 euro l’anno. La mia richiesta di 2.500 euro al mese equivale a 30.000 euro l’anno lordi: quasi la metà. Non pretendo cifre irrealistiche, chiedo solo un po’ di normalità.
Ho pensato più volte alla libera professione, e mi piacerebbe molto.
Ma negli ultimi otto anni ho cambiato tre città: costruirsi una rete dove nessuno ti conosce non è semplice. Magari, quando avrò una vita più stabile, sarà il momento giusto per provarci davvero
Perché il "dipendente" di uno studio di architettura deve assumersi il rischio d’impresa, quando di fatto è solo il “braccio” operativo? E se quel braccio non ci fosse, come farebbe il titolare a portare avanti il lavoro? Non capisco perché al dipendente venga richiesto di spendersi per la causa come se lo studio fosse suo, in cambio di una paga minima e orari impossibili per rispettare le consegne.
Conosco molte persone che lavorano in altri settori e, per stipendi simili (circa 1.200 euro al mese), hanno meno responsabilità, meno stress e — soprattutto — più vita al di fuori del lavoro.
E mi chiedo, con dispiacere, perché nel nostro campo continuiamo ad accettare tutto questo come se fosse “normale”.
Non sto chiedendo di guadagnare 50.000 euro l’anno. La mia richiesta di 2.500 euro al mese equivale a 30.000 euro l’anno lordi: quasi la metà. Non pretendo cifre irrealistiche, chiedo solo un po’ di normalità.
Ho pensato più volte alla libera professione, e mi piacerebbe molto.
Ma negli ultimi otto anni ho cambiato tre città: costruirsi una rete dove nessuno ti conosce non è semplice. Magari, quando avrò una vita più stabile, sarà il momento giusto per provarci davvero
C'è sempre il solito errore di fondo, secondo me.
Se sei Partita Iva NON sei un dipendente e non hai nè garanzie nè obblighi. Se sei Partita Iva NON puoi ragionare come un dipendente: non ti conviene nè economicamente nè umanamente nè professionalmente.
Se si vuole le garanzie da dipendente si diventa dipendenti a tutti gli effetti (di un'impresa, di una qualunque azienda di serramenti, mobili, prodotti per l'edilizia ecc ecc..............) ma allora, nella stragrande maggioranza dei casi, NON si fa il progettista puro (cosa che non è un problema perchè tanto il progettista non lo si fa nemmeno negli studi a collaborazione).
Se sei una Partita Iva NON cerchi lavoro, cerchi una collaborazione: tu devi piacere allo studio ma anche lo studio deve piacere a te. Non so se mi spiego.
Se sei Partita Iva NON sei un dipendente e non hai nè garanzie nè obblighi. Se sei Partita Iva NON puoi ragionare come un dipendente: non ti conviene nè economicamente nè umanamente nè professionalmente.
Se si vuole le garanzie da dipendente si diventa dipendenti a tutti gli effetti (di un'impresa, di una qualunque azienda di serramenti, mobili, prodotti per l'edilizia ecc ecc..............) ma allora, nella stragrande maggioranza dei casi, NON si fa il progettista puro (cosa che non è un problema perchè tanto il progettista non lo si fa nemmeno negli studi a collaborazione).
Se sei una Partita Iva NON cerchi lavoro, cerchi una collaborazione: tu devi piacere allo studio ma anche lo studio deve piacere a te. Non so se mi spiego.
Capisco benissimo quello che dici e lo condivido pienamente. Tuttavia, per la mia esperienza, non ho mai trovato una collaborazione in partita IVA che fosse davvero una collaborazione.
Le aziende e gli studi con cui ho “collaborato” hanno richiesto la P.IVA e l’iscrizione all’ordine, ma al tempo stesso hanno imposto la presenza quotidiana in ufficio con orari fissi uguali per tutti, una postazione assegnata, la richiesta formale per permessi o ferie, e spesso anche qualche commento quando si prende una vacanza perché “ti pago lo stesso anche se non ci sei”.
Capisci che, in queste condizioni, di collaborativo resta ben poco.
Mi andrebbe benissimo se la collaborazione fosse davvero tale: mi affidi un lavoro (anche che non sia pura progettazione), lo gestisco in autonomia e, al termine, mi paghi quanto concordato. Ma, almeno per la mia esperienza, questo tipo di rapporto non esiste quasi mai.
È per questo che, dopo anni così, finisco inevitabilmente per ragionare come una dipendente — solo che ho le spese e nessuna delle tutele di un contratto da dipendente. E onestamente, diventa frustrante quando ti propongono 1.800 euro lordi in fattura per un full time senza garanzie
Le aziende e gli studi con cui ho “collaborato” hanno richiesto la P.IVA e l’iscrizione all’ordine, ma al tempo stesso hanno imposto la presenza quotidiana in ufficio con orari fissi uguali per tutti, una postazione assegnata, la richiesta formale per permessi o ferie, e spesso anche qualche commento quando si prende una vacanza perché “ti pago lo stesso anche se non ci sei”.
Capisci che, in queste condizioni, di collaborativo resta ben poco.
Mi andrebbe benissimo se la collaborazione fosse davvero tale: mi affidi un lavoro (anche che non sia pura progettazione), lo gestisco in autonomia e, al termine, mi paghi quanto concordato. Ma, almeno per la mia esperienza, questo tipo di rapporto non esiste quasi mai.
È per questo che, dopo anni così, finisco inevitabilmente per ragionare come una dipendente — solo che ho le spese e nessuna delle tutele di un contratto da dipendente. E onestamente, diventa frustrante quando ti propongono 1.800 euro lordi in fattura per un full time senza garanzie
Ti stanno facendo risparmiare tempo, aver dichiarato subito quali erano le intenzioni ti evita di dedicare del tempo a questi soggetti.
Chi lavora in uno studio di architettura non sceglie di fare il dipendente, non è una scelta.
Molto spesso è l'unica proposta reale che viene fatta per questo tipo di lavoro.
Basta leggere gli annunci.
Tutto giusto il discorso che come partita IVA non sarai mai un dipendente, e su come le collaborazioni professionali vadano definite entro certi parametri. Peccato che se si vuole lavorare come progettista, senza dover necessariamente aprire il proprio studio, non rimangono molte alternative reali.
La soluzione è aprirsi il proprio studio. Benissimo, siamo uno dei paesi con la percentuale più alta di architetti con studio individuale. Nel momento in cui apri il tuo studio, cosa impedisce il reiterarsi dello stesso meccanismo a discapito di altri?
Capisco molto bene il tuo sconforto, ma l'esperimento lascialo pure fare a loro.
Chi lavora in uno studio di architettura non sceglie di fare il dipendente, non è una scelta.
Molto spesso è l'unica proposta reale che viene fatta per questo tipo di lavoro.
Basta leggere gli annunci.
Tutto giusto il discorso che come partita IVA non sarai mai un dipendente, e su come le collaborazioni professionali vadano definite entro certi parametri. Peccato che se si vuole lavorare come progettista, senza dover necessariamente aprire il proprio studio, non rimangono molte alternative reali.
La soluzione è aprirsi il proprio studio. Benissimo, siamo uno dei paesi con la percentuale più alta di architetti con studio individuale. Nel momento in cui apri il tuo studio, cosa impedisce il reiterarsi dello stesso meccanismo a discapito di altri?
Capisco molto bene il tuo sconforto, ma l'esperimento lascialo pure fare a loro.
ma certo mausi88, lo so che è così. Ma allora o si ha il pelo per farsi rispettare o si declina. Accettando si contribuisce a rafforzare il sistema malato. E per cosa? Per credere di essere "Architetto"? Scusa se sono così dura, ma è che secondo me questo andazzo non va bene. Con me lavorano due laureati in architettura che hanno deciso di fare i dipendenti: probabilmente progettano più di te, hanno una famiglia e sostengono un mutuo. Un'altra vita. Certo non fanno gli "Architetti".
sono molto il linea con quello che dice fulser.
Io collaboro con un'impresa, le loro richieste occupano buona parte del mio tempo, sono pagata un tot al mese. Non ho garanzie, ma non ho nemmeno obblighi, nè di sede nè tantomeno di orario. Posso fare le loro cose di notte, alle 5 del pomeriggio come alle 8 di sera, l'importante è che produco quello che serve nei tempi.
Lo scorso anno mi hanno detto "non ci servi più abbiamo questo tizio che ci fa un sacco di roba oltre a quella che fai tu" OK. Ho incassato e devo dire che è stato un bello scossone perchè son comunque soldi. Poi dopo 2 mesi sono tornati come il figliol prodigo e con le orecchie basse, perchè sto fenomeno era solo un millantatore... ma questo è un discorso a parte
Io collaboro con un'impresa, le loro richieste occupano buona parte del mio tempo, sono pagata un tot al mese. Non ho garanzie, ma non ho nemmeno obblighi, nè di sede nè tantomeno di orario. Posso fare le loro cose di notte, alle 5 del pomeriggio come alle 8 di sera, l'importante è che produco quello che serve nei tempi.
Lo scorso anno mi hanno detto "non ci servi più abbiamo questo tizio che ci fa un sacco di roba oltre a quella che fai tu" OK. Ho incassato e devo dire che è stato un bello scossone perchè son comunque soldi. Poi dopo 2 mesi sono tornati come il figliol prodigo e con le orecchie basse, perchè sto fenomeno era solo un millantatore... ma questo è un discorso a parte
brava sclerata! Perchè è proprio questo il punto, bisogna farsi rispettare e lo si può fare nel momento in cui ci si rende conto di quanto si vale. E stando a PI in uno studio non lo si impara mai. Sclerata hai tutta la mia stima (per quello che vale).
settimana prossima vedo il titolare e gli ho già anticipato che dobbiamo un attimo rivedere le cose...
Comunque, giusto per precisare, sono lavori che di progettuale non hanno nulla, non è roba da architetti, ma va bene.
Comunque, giusto per precisare, sono lavori che di progettuale non hanno nulla, non è roba da architetti, ma va bene.
@mausi88, proprio dopo dodici anni di collaborazione con uno studio di progettazione, un paio d'anni fa ho deciso di smettere e cambiare lavoro. Non sto a raccontare il mio rapporto di lavoro con lo studio di progettazione, perchè è simile al tuo e a molti altri. Ho capito che nel mio caso la strada del "mettersi in proprio" non sarebbe finita bene e che passare da essere una "finta p.iva" ad essere dipendente effettivo, era più fattibile. Diciamo che sulla bilancia avevo molti pro e pochi contro, uno di questi l'allontanamento dalla progettazione (anche se per lavoro mi occupo comunque di appalti, non p.a.). Non rimpiango la scelta, perchè la passione per il progettare si può coltivare anche in altri modi, non solo legati alla professione. Poi chissà...magari il mio allontanamento dalla progettazione è solo temporaneo...
PS Con una RAL di 50k da dipendente, il netto è sopra i 2000 euro/mese (con tredicesima e quattordicesima).
Il confronto tra RAL e fatturato secondo me non è molto corretto, perché sono mondi diversi.
Il confronto tra RAL e fatturato secondo me non è molto corretto, perché sono mondi diversi.
Alla fine, Fulser, è proprio quello che ho fatto. O meglio: non è che mi sono fatta valere "alle brutte", semplicemente non ho accettato la loro proposta e ho fatto la mia, che a sua volta non è stata accettata. Si è quindi trattato di una sorta di “silenzio-diniego”… abbastanza maleducato, direi, da parte dello studio.
Mi è dispiaciuto soprattutto per i ragazzi che lavorano lì: ho parlato con alcuni di loro e mi hanno dato l’impressione di sentirsi davvero parte dello studio studio, nonostante vengano pagati una miseria e i loro nomi non compaiano nemmeno tra i collaboratori quando un progetto viene pubblicato.
Che poi, a dire il vero, alla progettazione ho ormai rinunciato: sono anni che non la pratico e credo che anche risolvere bene un dettaglio costruttivo sia una forma di progettazione. Ciò che mi ha davvero sconfortato è la situazione generale...ma penso che questo fosse già chiaro! eheh
Comunque, avete ragione voi: è andata bene così. Almeno si sono mostrati per quello che sono fin da subito, e io non ho perso tempo.
Forse la prossima volta, invece di limitarmi a fare una controproposta, cercherò di spiegare meglio le ragioni dietro a ciò che dico, senza dare per scontato che chi ho di fronte possa arrivarci da solo… perché, se così fosse, probabilmente non farebbe nemmeno certe proposte!
Vi ringrazio davvero per aver accolto questo "piccolo" sfogo e per non avermi fatta sentire la “mosca bianca” della situazione
Mi è dispiaciuto soprattutto per i ragazzi che lavorano lì: ho parlato con alcuni di loro e mi hanno dato l’impressione di sentirsi davvero parte dello studio studio, nonostante vengano pagati una miseria e i loro nomi non compaiano nemmeno tra i collaboratori quando un progetto viene pubblicato.
Che poi, a dire il vero, alla progettazione ho ormai rinunciato: sono anni che non la pratico e credo che anche risolvere bene un dettaglio costruttivo sia una forma di progettazione. Ciò che mi ha davvero sconfortato è la situazione generale...ma penso che questo fosse già chiaro! eheh
Comunque, avete ragione voi: è andata bene così. Almeno si sono mostrati per quello che sono fin da subito, e io non ho perso tempo.
Forse la prossima volta, invece di limitarmi a fare una controproposta, cercherò di spiegare meglio le ragioni dietro a ciò che dico, senza dare per scontato che chi ho di fronte possa arrivarci da solo… perché, se così fosse, probabilmente non farebbe nemmeno certe proposte!
Vi ringrazio davvero per aver accolto questo "piccolo" sfogo e per non avermi fatta sentire la “mosca bianca” della situazione
Infatti io mi sono sempre sentita parte dello studio...mentre sono solo un PC che parla (ma che -oinoi-ogni tanto va in ferie). È una trappola psicologica.
ecco mausi88, "Mi è dispiaciuto soprattutto per i ragazzi che lavorano lì: ho parlato con alcuni di loro e mi hanno dato l’impressione di sentirsi davvero parte dello studio studio, nonostante vengano pagati una miseria e i loro nomi non compaiano nemmeno tra i collaboratori quando un progetto viene pubblicato".... è proprio questo un aspetto che mi irrita.
Che senso ha fare questa cosa? Perchè così, ok ti pagano una miseria ma quando ti presenti ti qualifichi come Architetto? Anche se ufficialmente non hai progettato niente? Niente gloria (ma nemmeno oneri: non c'è la ricerca della commessa, la responsabilità, la rogna di pagare le spese....) ? Perchè così i genitori che hanno pagato l'università possono dire ai parenti ed amici che il loro glorioso figlio "fa l'Architetto"? Perchè "fanno parte dello studio"?
Diciamolo: NON fanno parte dello studio.
E' una cosa che non riuscirò mai a capire, e denota sì, un sistema malato tipico italiano, ma anche, chiedo scusa, un aspetto tremendamente provinciale.
Non è una critica a te, sia ben chiaro, il mio è un discorso generale.
Che senso ha fare questa cosa? Perchè così, ok ti pagano una miseria ma quando ti presenti ti qualifichi come Architetto? Anche se ufficialmente non hai progettato niente? Niente gloria (ma nemmeno oneri: non c'è la ricerca della commessa, la responsabilità, la rogna di pagare le spese....) ? Perchè così i genitori che hanno pagato l'università possono dire ai parenti ed amici che il loro glorioso figlio "fa l'Architetto"? Perchè "fanno parte dello studio"?
Diciamolo: NON fanno parte dello studio.
E' una cosa che non riuscirò mai a capire, e denota sì, un sistema malato tipico italiano, ma anche, chiedo scusa, un aspetto tremendamente provinciale.
Non è una critica a te, sia ben chiaro, il mio è un discorso generale.
Sì, sono d’accordo con la tua analisi.
Credo che molti giovani accettino quelle condizioni non tanto per “apparire”, ma perché sperano che prima o poi arrivi un’occasione migliore o semplicemente perché non vedono alternative (come è successo a me per anni). Il problema, come dici, è che così il sistema continua a perpetuarsi: chi lavora gratis oggi, domani magari farà lo stesso con altri. È un circolo vizioso che andrebbe spezzato. Prima di tutto andrebbe chiarito secondo me — in tutti i settori, non solo nel nostro — che il rischio d’impresa deve essere dell’imprenditore, non di chi lavora per lui. A questo proposito mi ha colpito una recente frase di Julio Velasco (scusate, ma sono stata anche una pallavolista per anni, quindi ci sono un po' sotto!): “Una squadra senza allenatore può esistere, un allenatore senza squadra no.” Ecco, trovo che renda perfettamente l’idea: il titolare dello studio che ottiene commesse milionarie, senza le decine di ragazzi che lavorano per lui, non potrebbe nemmeno sognarsi di portarle a termine.
D’altra parte, quei ragazzi, se si mettessero insieme, potrebbero anche gestire una commessa da soli: con più rischi, certo, ma anche con molte più soddisfazioni (e guadagni)
Credo che molti giovani accettino quelle condizioni non tanto per “apparire”, ma perché sperano che prima o poi arrivi un’occasione migliore o semplicemente perché non vedono alternative (come è successo a me per anni). Il problema, come dici, è che così il sistema continua a perpetuarsi: chi lavora gratis oggi, domani magari farà lo stesso con altri. È un circolo vizioso che andrebbe spezzato. Prima di tutto andrebbe chiarito secondo me — in tutti i settori, non solo nel nostro — che il rischio d’impresa deve essere dell’imprenditore, non di chi lavora per lui. A questo proposito mi ha colpito una recente frase di Julio Velasco (scusate, ma sono stata anche una pallavolista per anni, quindi ci sono un po' sotto!): “Una squadra senza allenatore può esistere, un allenatore senza squadra no.” Ecco, trovo che renda perfettamente l’idea: il titolare dello studio che ottiene commesse milionarie, senza le decine di ragazzi che lavorano per lui, non potrebbe nemmeno sognarsi di portarle a termine.
D’altra parte, quei ragazzi, se si mettessero insieme, potrebbero anche gestire una commessa da soli: con più rischi, certo, ma anche con molte più soddisfazioni (e guadagni)
mausi, sono contenta di vedere che hai una prospettiva lucida della situazione (talvolta sembra di avere a che fare con persone che hanno il prosciutto sugli occhi)... Tra l'altro anch'io ho rapporti abbastanza stretti con la pallavolo ;-)).
Mi permetto di aggiungere: come mai queste persone riescono a lavorare quasi gratis per tanti anni? Forse perchè hanno una rete di sicurezza (una famiglia alle spalle)?? Quando ero studentessa io ricordo che si diceva che l'architetto, per essere tale, deve essere ricco di famiglia (che poi non è necessario sia ricca, basta che sia disposta a sponsorizzare), perchè fino ai 40 anni non guadagna niente; era una affermazione proprio consolidata (e non mi pare che le cose siano cambiate molto), il cui esempio lampante più citato era Kahn, il quale sarebbe stato mantenuto dalla moglie ricca per decenni, nonostante le innumerevoli corna e i figli fuori dal matrimonio.
Quanto alla mancanza di alternative, argomento amplissimo, butto uno spunto: da notare che tutti i nostri espatriati all'estero, e sono tanti, hanno quasi tutti un buon successo (non parlo solo di architetti). Mi domando: perchè? Forse perchè all'estero sono in qualche modo costretti a tirarsi fuori dai meccanismi del sistema? Conosco figli di miei amici che in Italia sono stati viziati in modo inverosimile dai genitori, ma che all'estero hanno fatto una vita che qui MAI avrebbero accettato (condivisione di appartamento in 10 persone, cibarie improbabili, inizio di turni di lavoro alle 4 del mattino mentre il pomeriggio lo passavano in università....). Insomma, qualche alternativa c'è, bisogna intendere come applicarla.
Questo solo uno spunto, ovvio che in realtà le cose sono parecchio più complesse, ma non mi pare sia il caso di disquisirne su un post, tra l'altro ne abbiamo già parlato spesso.
Mi permetto di aggiungere: come mai queste persone riescono a lavorare quasi gratis per tanti anni? Forse perchè hanno una rete di sicurezza (una famiglia alle spalle)?? Quando ero studentessa io ricordo che si diceva che l'architetto, per essere tale, deve essere ricco di famiglia (che poi non è necessario sia ricca, basta che sia disposta a sponsorizzare), perchè fino ai 40 anni non guadagna niente; era una affermazione proprio consolidata (e non mi pare che le cose siano cambiate molto), il cui esempio lampante più citato era Kahn, il quale sarebbe stato mantenuto dalla moglie ricca per decenni, nonostante le innumerevoli corna e i figli fuori dal matrimonio.
Quanto alla mancanza di alternative, argomento amplissimo, butto uno spunto: da notare che tutti i nostri espatriati all'estero, e sono tanti, hanno quasi tutti un buon successo (non parlo solo di architetti). Mi domando: perchè? Forse perchè all'estero sono in qualche modo costretti a tirarsi fuori dai meccanismi del sistema? Conosco figli di miei amici che in Italia sono stati viziati in modo inverosimile dai genitori, ma che all'estero hanno fatto una vita che qui MAI avrebbero accettato (condivisione di appartamento in 10 persone, cibarie improbabili, inizio di turni di lavoro alle 4 del mattino mentre il pomeriggio lo passavano in università....). Insomma, qualche alternativa c'è, bisogna intendere come applicarla.
Questo solo uno spunto, ovvio che in realtà le cose sono parecchio più complesse, ma non mi pare sia il caso di disquisirne su un post, tra l'altro ne abbiamo già parlato spesso.