Ndesign : [post n° 498014]

Progettare spazi che respirano: riflessioni su design, natura e benessere

Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di sostenibilità, ma troppo poco di benessere abitativo reale.
Come progettisti, quanto ci fermiamo davvero a chiederci che effetto hanno i nostri spazi sulla vita delle persone?
Luce naturale, materiali, qualità dell’aria, presenza del verde… non sono solo dettagli estetici, ma elementi che incidono su salute, concentrazione e comfort quotidiano.

Da interior e biophilic designer, mi confronto ogni giorno con clienti che non sanno nemmeno che il design possa influire sul loro equilibrio psicofisico.
Per questo ho deciso di raccogliere riflessioni, casi studio e consigli pratici in un libro:
Una casa che respira – Design, piante e materiali per vivere in armonia (Bookabook), cercando di avvicinare quante più persone possibili all'argomento.

Vorrei aprire un dialogo tra colleghi su questo tema:
- Come possiamo rendere davvero “vivi” gli spazi che progettiamo?
- Che ruolo ha oggi il progettista nel migliorare la qualità dell’abitare, non solo in termini estetici ma anche di salute e benessere?
arch.sergio :
Guardati l'esempio di Hulme Crescents a Manchester dove si vede come non sia un aspetto irrisorio
Archifish :
Perdona se posso apparire "crudo" o disincantato, ma sono tutte questioni su cui potrebbe essere molto interessante disquisire, se solo la committenza fosse particolarmente "illuminata" e contemporaneamnte "altospendente" (e pure questa deve essere ben disposta verso certe "finezze" e certe tematiche).
Ad oggi credo che il 90% dei committenti assimili il proprio equilibrio psicofisico alla soluzione che più lo fa risparmiare, minando serimante il nostro equilibrio psicofisico, soprattutto ogni qual volta si provi a proporgli qualcosa che ai suoi occhi non risulti meramente utilitaristico.
I temi che proponi presuppongono, nella committenza, una certa sensibilità. Ad oggi, spesso, anche a fronte di disponibilità economiche non certo contenute, si fatica a somministrare qualcosa di bello, elegante, sobrio, organico sotto il profilo di forme, volumi, materiali e finiture, sostenibile sotto il profilo ambientale. Spesso, anche il ricco, punta solo alla "sboronata" da rivista o a potersi fregiare di aver speso di più degli altri.
Probabilmente, oltre ad una clientela ben disposta, serve essere persuasivi e credibili nel proporre un certo tipo di approccio progettuale.
Resto convinto che l'ediliza (passata, presente e futura), in Italia, salvo rare eccezioni, sia una discreta schifezza a livello compositivo nonchè di qualità degli spazi e dell'abitare non tanto per carenza di tecnici capaci, quanto per l'abisso che separa intenzioni e priorità di chi progetta e di chi costruisce/vende/acquista/ristruttura. Le questioni di soldi, la speculazione e l'ignoranza sono bestie difficili da combattere.

Mi scuso nuovamente per l'inutilità del mio intervento al dibattito. Ho solo "vomitato" le prime riflessioni che mi sono passate per la testa.
Ily :
Basta copiare l'architettura tradizionale, che non a caso è quella che si inserisce in modo perfetto nel paesaggio, che usa i materiali disponibili localmente al meglio delle proprie possibilità, e che risolve i problemi reali delle persone, trasformando la struttura e le esigenze d'uso in forme di decorazione, per quanto semplici. I materiali? Sassi cavati nel letto del fiume più vicino, o pietroni trovati lavorando i campi, o scaglie di pietrame derivanti da scarti di lavorazione. Alberi tagliati nel bosco più vicino, o travi di recupero da vecchi edifici smontati. Malta di calce e sabbia confezionata al momento. Qualche coppo di argilla, dove disponibile, o scaglie di pietra o di legno. In certe zone poi costruivano con paglia e argilla, ad esempio nel Campidano. Tutti materiali oggi recuperati, non a caso.

Non servono parole alla moda (come biophilic design) per fare questo, serve un'ottima conoscenza dei materiali e delle tecniche costruttive tradizionali, da cui trarre ispirazione.
Vuoi un esempio perfetto di praticità, efficienza energetica, uso sapiente dei materiali ed estetica - nella definizione di Bruno Munari come "forma coerente alla funzione e piacevole da guardare"?
La CUCINA ECONOMICA, o putagè: ci puoi cucinare grazie ai "buchi" nel piano di ghisa in cui incastrare le pentole e al fornetto nella parte inferiore, riscaldare la casa, avere a disposizione acqua calda per farti il the o il caffè (c'è un apposito contenitore metallico integrato sul piano cottura proprio a questo scopo, e serve anche per umidificare l'ambiente), ha una sbarra metallica tutto attorno in appendere a scaldare e asciugare gli strofinacci o piccoli capi di abbigliamento. Ed è praticamente eterno: se ne trovi uno da un rigattiere vecchio di un secolo, con una buona manutenzione torna a funzionare perfettamente. E con il suo sottoprodotto, la cenere, i nostri bisnonni facevano il bucato e fertilizzavano l'orto.
Chi fa restauro, fa anche "biophilic design".
Il cappotto termico, ad esempio, un vero e proprio dogma progettuale degli ultimi tempi, secondo me è l'esatto contrario di quello che sostieni.

P.S. Le nostre case rurali tradizionali, soprattutto in montagna, nel migliore dei casi erano costruite da muratori e capomastri, nel peggiore dei casi dagli stessi contadini con l'aiuto dei vicini e paesani (con i quali poi ci si sdebitava magari prestando due mucche per tirare l'aratro, o magari con un bel carico di legna tagliato nel bosco, o costruendo/riparando uno steccato, o aiutando a disboscare e dissodare un nuovo campo, o pagandolo con una capra, ecc).
Case poverissime, ancora lì dopo secoli, calde in inverno e fresche d'estate, e perfettamente vivibili anche oggi, se dotare di bagno e impianti moderni.
Ndesign :
Grazie davvero a tutti per gli spunti, è esattamente il tipo di confronto che speravo di aprire.

@arch.sergio, l’esempio che citi è prezioso perché mostra quanto gli errori progettuali possano incidere sul benessere delle persone. Capire cosa non ha funzionato è fondamentale per evolvere come professionisti.

@Archifish, apprezzo moltissimo la tua sincerità. Hai toccato un punto reale e spesso scomodo: la distanza tra ciò che proponiamo e ciò che la committenza comprende o vuole investire. È vero, non sempre c’è sensibilità e spesso la priorità è il risparmio o l’estetica “di impatto”.
Proprio per questo credo che parte del nostro ruolo debba essere anche culturale. Non solo progettare, ma accompagnare le persone a capire il valore di ciò che proponiamo. È un lavoro lento, fatto di dialogo, esempi, spiegazioni semplici. E spesso funziona molto più di quanto immaginiamo.

@Ily, grazie per il contributo ricchissimo. Hai ragione: la tradizione ci offre insegnamenti potentissimi. Materiali locali, edilizia spontanea, soluzioni climatiche intuitive… sono tutte forme di progettazione naturale.
Il termine “biophilic design” può sembrare una moda, ma nella sostanza è proprio questo: recuperare principi antichi, portarli nel presente e integrarli in un linguaggio progettuale attuale. La tradizione non è alternativa alla biofilia, ne è una delle radici più solide.

Il senso del mio lavoro e del libro è esattamente questo: creare un ponte tra le conoscenze tecniche, la storia dell’architettura, la ricerca contemporanea e la vita reale delle persone.
Perché alla fine, al di là dei termini, parliamo tutti della stessa cosa: spazi che ci fanno stare meglio, che rispettano l’ambiente, e che durano nel tempo.

Grazie davvero per aver alimentato il dibattito. Spero di continuare a discuterne con voi, perché è un tema che riguarda tutti noi progettisti e il futuro del nostro lavoro.

Se qualcuno vuole approfondire, nel libro ho provato proprio a raccogliere questi temi in modo semplice, senza tecnicismi, per coinvolgere anche chi non è del settore.

Continuiamo così, è un piacere confrontarsi con colleghi appassionati.
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