ArChiara : [post n° 455092]

CAMBIO DI DESTINAZIONE D'USO

Salve, premetto che ho commesso degli errori per inesperienza e perchè per velocità di dover iniziare i lavori sono stata consigliata male da altri tecnici coinvolti. Ho aperto un permesso di costruire per un edificio in zona agricola a due piani. Il piano terra era deposito (C2) e il primo residenza (A2). Nel progetto ho lasciato come destinazione del piano terra il deposito. Però di fatto sono stati realizzati impianto di riscaldamento, elettrico ed idrico. Ora devo chiudere il permesso, in quanto i lavori sono terminati. Prima di chiuderlo sto valutando di prospettare al cliente la possibilità di cambiare la destinazione d'uso, per non incorrere nell'ambiguità che il deposito non debba essere riscaldato, dunque possa risultare abuso. Posso farlo integrando tale permesso..oppure devo chiuderlo e poi aprire un'altra pratica? Oltre agli oneri per la variazione, il cliente che sanzione dovrebbe pagare?
Scusate per la banalità delle domande, ma non riesco a venire a capo e non vorrei commettere altri errori.
Grazie
archspf :
Premesso che ciascuno è responsabile delle proprie azioni, se posso permettermi di chiedere, in cosa consiste il presunto "errore"?
Detto ciò, si deve intanto verificare che il CDU sia possibile vista la destinazione urbanistica, indici, eventuali vincoli e norme comunque locali permettendo, ricordando che non parliamo di CDU ma piuttosto di Ampliamento (la destinazione è sempre residenziale in quanto pertinenza di quest'ultima). Dopodiché si deve presentare variante essenziale (Scia Alternativa o altro PDC).

Inutile pensare alle sanzioni se l'intervento non è realizzabile poichè andrebbe ripristinato lo stato legittimo.
ArChiara :
Grazie per la risposta immediata. Sono d'accordo che ognuno sia responsabile delle proprie azioni, ma l'inesperienza mi ha indotto a fare i seguenti errori. Quando ho redatto il pdc il cliente ha pagato degli oneri per realizzazione di massetto e pavimento a mo' di opere di miglioria, trattandosi di un deposito. L'errore sta nel fatto che in corso d'opera è stato realizzato l' impianto di riscaldamento, non previsto inizialmente nel pdc e non contemplato da leggi regionali, come ad esempio l'art. 24 della legge lombarda 11/12/2006. Il fabbricato è in Campania, ma non ho ancora trovato un testo normativo locale che ne parli.
archspf :
Per spezzare una lancia ritengo che non possa trattarsi di errore materiale ma di leggerezza, nell'andare appresso all'iniziativa estemporanea di cliente/impresa, il che non può pregiudicare una valutazione preliminare che per "n" ragioni avrebbe escluso tale intervento a priori.
Adam Richman :
@ArChiara: sei DL?
ArCh :
Si
Adam Richman :
Ok. Farei così:
- in prima battuta (come ti hanno già consigliato) devi capire se il cambio d'uso sia ammissibile urbanisticamente;
- in caso negativo dovrai capire come uscirne il meno ammaccata possibile (che tipo di impianto di riscaldamento hanno fatto? E' visibile? E' allacciato e funzionante?);
- in caso positivo formalizzerei il cambio d'uso con una scia alternativa al pdc, come variante in corso d'opera al progetto attualmente autorizzato e quindi prima di dare la fine lavori; varianti così rilevanti andrebbero fatte in anticipo (tienine conto in futuro) ma in realtà è prassi non ortodossa infilare di tutto e di più nella cosiddetta variante finale; di contro, eviterei di dare la fine lavori con l'idea di sanare l'abuso più avanti, ricadresti nell'art. 36 del dpr 380/2001 che è più oneroso sia a livello burocratico che economico ed inoltre - dando la fine lavori senza aver formalizzato il cambio d'uso - saresti più esposta a contestazioni come DL.
archspf :
@Adam le varianti finali si fanno solo per variazioni non essenziali ;-)
desnip :
Cmq io sono in Campania e non mi risulta che ci sia una norma regionale che vieti il riscaldamento delle pertinenze.
Adam Richman :
@archspf: Lo so, ma imho anche in questo caso torniamo al già dibattuto confronto tra teoria e prassi. Nella prassi (pur non ortodossa) quando c'è un cantiere con una pratica aperta la gestione delle varianti è spesso elastica; non si dovrebbe fare ma si fa. In questo caso non parliamo di un ampliamento fuori sagoma, di una sopraelevazione o della chiusura di una tettoia, ma di un cambio d'uso di locali esistenti che anche come sgombero possono comunque avere finiture ed impianti elettrici e idrici (e magari anche termici, leggendo Desnip). Ritengo che ci siano i presupposti per tirare un po' la corda, con mestiere (attendere a montare arredi e sanitari al piano terra, ecc ), presentando il prima possibile una variante per il cambio d'uso. Naturalmente fermo restando il rispetto del PRG, del RE, delle normative specifiche (energetica, ecc.).
archspf :
Ragazzi come lo chiamate voi, CDU, che in realtà è un ampliamento della superficie residenziale e relativa cubatura precedentemente non assentita come tale (vedasi sentenza TAR Lazio n. 10234 del 22 ottobre 2018), necessità di un iter istruttorio con preventiva approvazione degli oneri concessori, essendo una variante essenziale al progetto approvato. Su questo non c'è ne teoria a né pratica ma giurisprudenza consolidata ;-).
Adam Richman :
@archspf: Ammiro sinceramente la tua preparazione ed il tuo rigore, ma riesci davvero a lavorare in maniera così integerrima? In 13 anni di variegata esperienza lavorativa credo di non avere mai incrociato un professionista così rigoroso nella realtà quotidiana. Imho la prassi è raramente aderente non solo alla teoria, ma anche alla giurisprudenza consolidata; qualcuno tira la corda con consapevolezza e mestiere, senza esagerare, altri sbracano più grossolanamente (ormai pochi, per fortuna).
archspf :
Lavorare non significa fare le cose per forza, ma piuttosto farle per bene: d'altronde per quello che mi riguarda non vedo differenze nel procedere in modo "rigoroso".
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