Si tratta della prima legge italiana riguardante le disposizioni in materia di Esproprio per Pubblica Utilità, con lo scopo di introdurre norme per il risanamento e l’ampliamento delle città, viste le precarie condizioni, soprattutto igieniche di molti aggregati urbani.
Furono introdotti due importanti strumenti urbanistici: i Piani Regolatori Edilizi ed i Piani di Ampliamento.
I Piani Regolatori Edilizi, attuabili entro 25 anni, erano obbligatori soltanto per i Comuni con oltre 10.000 abitanti e, una volta approvati, contenevano implicitamente, il riconoscimento della dichiarazione di opera di pubblica utilità.
Norme simili erano previste anche per i Piani di Ampliamento, dove si stabiliva l’obbligo di cedere il terreno necessario alla costruzione di vie pubbliche “senza altra formalità”, ma sempre dietro compenso per l’esproprio.
Secondo quanto stabilito dagli art.39, 40, 41 di tale legge, l’indennità di esproprio era pari al Valore di Mercato (Vm) del terreno espropriato, dove per Vm si intende il prezzo pagato da un privato per l’acquisto del terreno in regime di libera contrattazione e senza speculazioni.
Si comprende che per l’elevato onere finanziario dovuto alle indennità di esproprio, questa legge non ebbe applicazione molto estesa, tranne in alcuni casi eccezionali, per ragioni di grave morbilità, in cui si fece ricorso alla formazione di piani regolatori edilizi o di veri e propri piani di risanamento.
Per la prima volta si offriva ai Comuni la possibilità di fare partecipare l’iniziativa privata ai costi di realizzazione dei nuovi insediamenti.