Buonasera a tutti, mi trovo in una situazione delicata.
Incaricato per una ristrutturazione di un appartamento a Milano in seguito a compravendita. La precedente proprietaria (la vendita era in corso di perfezionamento) ammette di avere fatto dei lavori e di avere aggiornato il catasto, ma nulla pare sia stato presentato in Comune; promette di regolarizzare tutto prima della vendita. A ridosso del rogito la venditrice consegna alla cliente la ricevuta di protocollazione di CILA (neanche in sanatoria). Richiedo copia dei disegni, che arrivano, dopo mille insistenze, proprio al momento del rogito; verifica veloce con la cliente che sta entrando dal notaio, sembra tutto regolare ad una prima occhiata.
Oggi, al momento della redazione della CILA, mi accorgo che le misure segnate sono sbagliate, anche di 20/30 cm. Un bagno è rappresentato come un trapezio con un lato da 95 cm e l'altro 130 cm (misure rilevate 117-120cm), camera da letto profonda 359 (rilevata 320), e via dicendo.
Chiaramente non posso utilizzare lo stato di progetto della CILA come stato di fatto, perché è completamente sbagliato. In più i lavori devono iniziare, ci sono di mezzo persone anziane che hanno venduto a loro volta. Domani chiamerò l'ingegnere che ha redatto la CILA, sperando che corregga l'errore. Come mi posso muovere? Mi sembra che corra dei grossi rischi sia lui, sia la proprietaria. Sentirò il notaio a riguardo, ma a me interessa solo potere presentare la CILA e iniziare i lavori... Grazie mille per ogni contributo.
raudskij : [post n° 446565]
CILA con quote errate
In teoria, nel rogito, qualcuno dichiara la conformità urbanistica e catastale dell'immobile. Può avvenire tramite certificato allegato redatto da tecnico abilitato o mediante assunzione di responsabilità della parte venditrice.
In ogni caso, se la dichiarazione risulta mendace, l'atto può ritenersi nullo e la parte acquirente ha diritto a recedere dal contratto nonchè ad eventuale "indennizzo" (in verità, per come sono andate le cose, non si sarebbe dovuto procedere alla stipula della compravendita, ed accertare il tutto prima di complicarsi la vita).
Di certo, fossi in te, non ci metterei mano fino alla risoluzione della controversia, perchè, così facendo si accettano e, di fatto "acquistano" gli abusi ed anche perchè, a quanto dici, non si tratta di difformità facilmente assimilabili alle tolleranze di recente introdotte in tema di semplificazioni.
In ogni caso, se la dichiarazione risulta mendace, l'atto può ritenersi nullo e la parte acquirente ha diritto a recedere dal contratto nonchè ad eventuale "indennizzo" (in verità, per come sono andate le cose, non si sarebbe dovuto procedere alla stipula della compravendita, ed accertare il tutto prima di complicarsi la vita).
Di certo, fossi in te, non ci metterei mano fino alla risoluzione della controversia, perchè, così facendo si accettano e, di fatto "acquistano" gli abusi ed anche perchè, a quanto dici, non si tratta di difformità facilmente assimilabili alle tolleranze di recente introdotte in tema di semplificazioni.
Grazie della risposta. Come scrivevo, la verifica finale è stata fatta appena sono arrivati i disegni, immediatamente a ridosso del rogito, verificandone la correttezza sullo smartphone.
Ho interpellato il settore deontologia dell'ordine, la responsabilità di chi ha redatto la CILA è chiara e il rogito non implica in nessun modo l'accettazione dell'abuso. Occorre procedere per vie formali: io informo il cliente, che informa l'ex-proprietario, che informa il professionista. Senza incorrere in problemi deontologici mi ha detto di sentire tranquillamente il professionista, informalmente; lui minimizza molto, alcune zone non le ha neanche rilevate perchè non oggetto di sanatoria (ma le ha quotate). Mi ha chiesto di inviargli il rilievo giusto, per provare a rettificare la sanatoria....
Ho interpellato il settore deontologia dell'ordine, la responsabilità di chi ha redatto la CILA è chiara e il rogito non implica in nessun modo l'accettazione dell'abuso. Occorre procedere per vie formali: io informo il cliente, che informa l'ex-proprietario, che informa il professionista. Senza incorrere in problemi deontologici mi ha detto di sentire tranquillamente il professionista, informalmente; lui minimizza molto, alcune zone non le ha neanche rilevate perchè non oggetto di sanatoria (ma le ha quotate). Mi ha chiesto di inviargli il rilievo giusto, per provare a rettificare la sanatoria....
Tu non devi fare un bel niente e inviare ancor meno. Predisporre la documentazione perchè un bene sia commerciabile è onere della parte venditrice e attestarne la conformità (eventualmente sanando gli abusi) è compito del loro tecnico incaricato.
E' già sbagliato il fatto stesso che tu ti sia esposto verificando la correttezza di elaborati tecnici tramite smartphone (?!?!) e per giunta esprimendo un parere. So che non è facile, ma se tu avessi voluto davvero operare professionalmente nell'interesse della tua committenza avresti dovuto far saltare (o rimandare) la compravendita.
Fossi nella parte acquirente inizierei seriamente a pensare a trovarmi in legale ed a mettere nero su bianco un po' di condizioni/pretese. Giusto per tentare una mediazione e trovare un accordo prima di passare al tribunale.
E' già sbagliato il fatto stesso che tu ti sia esposto verificando la correttezza di elaborati tecnici tramite smartphone (?!?!) e per giunta esprimendo un parere. So che non è facile, ma se tu avessi voluto davvero operare professionalmente nell'interesse della tua committenza avresti dovuto far saltare (o rimandare) la compravendita.
Fossi nella parte acquirente inizierei seriamente a pensare a trovarmi in legale ed a mettere nero su bianco un po' di condizioni/pretese. Giusto per tentare una mediazione e trovare un accordo prima di passare al tribunale.
concordo assolutamente con la seconda parte di Archifish. Non sai in che ginepraio ti metti infilandoti in questa cosa. Tu devi solo tutelare il tuo cliente, avresti dovuto verificare ma non su smartphone, a costo di rimandare il rogito. I problemi non devono essere nè tuoi nè del tuo cliente, che siano gli altri a farsi venire l'ulcera.
@ArchiFish @fulser La verifica preliminare in effetti esula dal mio incarico, la comunicazione sulla correttezza è stata del tipo "sì, ci sono i disegni". Certo, avrei potuto come sovrappiù, avendo tempo per una verifica alla quale non sono tenuto, fermare il rogito, ma ripeto, esula dal mio incarico. Il tema è: un tecnico ha presentato una sanatoria presentando uno stato di progetto falso, come procedere per la nuova CILA? Ho fatto ulteriori verifiche con legale, notaio e un tecnico comunale con il quale ho un buon rapporto. I i suggerimenti unanimi sono quelli di passare il rilievo al tecnico, invitandolo a chiudere bonariamente la cosa facendo una rettifica. In caso contrario procederò con un attestazione della consistenza edilizia, allegando rilievo e documentazione fotografica (cosa che dovrei comunque fare) e attestare la difformità della CILA in sanatoria (facilmente dimostrabile, che mi mette al sicuro da eventuali contestazioni). Sceglierà il committente o il comune se procedere legalmente oppure no, ma questo mi permette di procedere con il mio incarico.
Potrai procedere al tuo incarico se e sole se lo stato legittimo corrisponderà allo stato di fatto.
In questo frangete, l'accordo "bonario, ci può stare, ma rimane l'incongruenza tra rettifica ed atto notarile (la prima successiva al secondo). Presumo che non si tratterà di una sanatoria, ma di una sorta di integrazione al titolo edilizio già presentato, sempre che esista tale procedura. Diversamente sarebbe tutto assurdo, a meno che non sia il tuo commitente a sanare (unico ad avere titolo, essendo proprietario) ed il venditore a pagare (spese tecniche ed eventuale oblazione).
Credo che in qualche modo sarebbe opportuno tutelarsi mettendo qualcosa nero su bianco (l'accordo) che abbia un minimo di valore legale.
Chi ha dichiarato, all'atto di compravendita la conformità? Il tecnico "superficiale e disinvolto" con certificato di conformità urbanistica e catastale (molti notai lo esigono) oppure la parte venditrice? In ogni caso c'è una falsa dichiarazione in ballo e se non è ben chiara la cosa a tutti gli attori le sorprese possono essere dietro l'angolo.
Ti consiglio vivamente di non muovere nemmeno una matita fino alla risoluzione della faccenda da parte di chi ha creato il problema. Il rilievo, se esce dal tuo studio a scopo di parare le chiappe al collega "disinvolto" o a chi ha venduto la consistenza immobiliare, deve essere pagato e direi, rigorosamente non dal tuo cliente.
In questo frangete, l'accordo "bonario, ci può stare, ma rimane l'incongruenza tra rettifica ed atto notarile (la prima successiva al secondo). Presumo che non si tratterà di una sanatoria, ma di una sorta di integrazione al titolo edilizio già presentato, sempre che esista tale procedura. Diversamente sarebbe tutto assurdo, a meno che non sia il tuo commitente a sanare (unico ad avere titolo, essendo proprietario) ed il venditore a pagare (spese tecniche ed eventuale oblazione).
Credo che in qualche modo sarebbe opportuno tutelarsi mettendo qualcosa nero su bianco (l'accordo) che abbia un minimo di valore legale.
Chi ha dichiarato, all'atto di compravendita la conformità? Il tecnico "superficiale e disinvolto" con certificato di conformità urbanistica e catastale (molti notai lo esigono) oppure la parte venditrice? In ogni caso c'è una falsa dichiarazione in ballo e se non è ben chiara la cosa a tutti gli attori le sorprese possono essere dietro l'angolo.
Ti consiglio vivamente di non muovere nemmeno una matita fino alla risoluzione della faccenda da parte di chi ha creato il problema. Il rilievo, se esce dal tuo studio a scopo di parare le chiappe al collega "disinvolto" o a chi ha venduto la consistenza immobiliare, deve essere pagato e direi, rigorosamente non dal tuo cliente.
Nei tempi i n cui gli agenti promettono "immobile garantito" solo perchè ci sono le planimetrie catastali, si sta finalmente diffondendo il buon senso di chi opera da anni nel settore e che pretende che prima di ogni stipula, si vada ad effettuare una "Due Diligence" della proprietà, il che richiede tempo e costi da sostenere, che non sono nulla a confronto di queste situazioni, spesso irrimediabili.
Mi trovo costantemente con pratiche che mostrano difformità che vanno oltre la soglia della tolleranza (sia giuridica che "pratica"), poichè fatte frettolosamente per il solo scopo di vendere l'immobile, e spesso ammacchiando situazioni che non potrebbero nemmeno essere ricomprese in quella specifica fattispecie di sanatoria....e quando hanno almeno la "dignità" di procedere in questo modo anziché far finta di eseguire gli interventi in quel preciso momento per far evitare la sanzione del committente.
Talvolta sono errori materiali che ritengo possiamo commettere tutti, per inesperienza, distrazione, ecc, ma la statistica dice che sono più le volte che non ci si è proprio posti il problema (pratica senza un rilievo e basata su precedenti tipi, sbagliati), piuttosto che casuali.
Riallacciandomi e condividendo le riflessioni di coloro che mi precedono, aggiungo che non ci si dovrebbe soffermare solo sulla pratica incriminata ma effettuare un vero accesso agli atti per recuperare progetti originari e di successiva trasformazione, in modo da fugare ogni dubbio sulla reale conformità (a monte della Cila) dell'immobile: se infatti sul progetto assentito tornassero le misure indicate dal collega, a prescindere dal fatto che si crea comunque un cortocircuito, si verificherebbe che lo stato di fatto non sarebbe comunque conforme e quindi si dovrebbe procedere ad una "vera" sanatoria delle difformità.
Mi trovo costantemente con pratiche che mostrano difformità che vanno oltre la soglia della tolleranza (sia giuridica che "pratica"), poichè fatte frettolosamente per il solo scopo di vendere l'immobile, e spesso ammacchiando situazioni che non potrebbero nemmeno essere ricomprese in quella specifica fattispecie di sanatoria....e quando hanno almeno la "dignità" di procedere in questo modo anziché far finta di eseguire gli interventi in quel preciso momento per far evitare la sanzione del committente.
Talvolta sono errori materiali che ritengo possiamo commettere tutti, per inesperienza, distrazione, ecc, ma la statistica dice che sono più le volte che non ci si è proprio posti il problema (pratica senza un rilievo e basata su precedenti tipi, sbagliati), piuttosto che casuali.
Riallacciandomi e condividendo le riflessioni di coloro che mi precedono, aggiungo che non ci si dovrebbe soffermare solo sulla pratica incriminata ma effettuare un vero accesso agli atti per recuperare progetti originari e di successiva trasformazione, in modo da fugare ogni dubbio sulla reale conformità (a monte della Cila) dell'immobile: se infatti sul progetto assentito tornassero le misure indicate dal collega, a prescindere dal fatto che si crea comunque un cortocircuito, si verificherebbe che lo stato di fatto non sarebbe comunque conforme e quindi si dovrebbe procedere ad una "vera" sanatoria delle difformità.
Buongiorno e grazie per le considerazioni.
>Chi ha dichiarato, all'atto di compravendita la conformità?
Ovviamente il notaio, che prende per buona la dichiarazione del venditore e l'accettazione dell'acquirente, e non ne certifica mai (ad esperienza prevalentemente milanese, di più di 30 anni, ahimè, di professione).
Ma non è questo il tema, il problema è che la CILA in sanatoria è l'ultimo titolo assentito e il professionista ha asseverato uno stato di fatto non reale. Per questo mi è stato suggerito di procedere, in mancanza di rettifiche, ad un accertamento della consistenza edilizia.
Per meglio precisare, tale attestazione è una pratica introdotta in tempi relativamente recenti dall'amministrazione milanese, per ovviare ai tempi biblici di risposta alle richieste di visura atti (mi è capitato a volte di attendere più di un anno, anche solo per sapere che non trovano più nulla). In questa situazione il comune, passati 60 giorni, permette al professionista di asseverare la consistenza partendo dall'ultimo catasto o altri documenti, liberandolo nel contempo dall'accusa di negligenza nel caso in cui la ricerca dovesse dare esiti diversi.
>Chi ha dichiarato, all'atto di compravendita la conformità?
Ovviamente il notaio, che prende per buona la dichiarazione del venditore e l'accettazione dell'acquirente, e non ne certifica mai (ad esperienza prevalentemente milanese, di più di 30 anni, ahimè, di professione).
Ma non è questo il tema, il problema è che la CILA in sanatoria è l'ultimo titolo assentito e il professionista ha asseverato uno stato di fatto non reale. Per questo mi è stato suggerito di procedere, in mancanza di rettifiche, ad un accertamento della consistenza edilizia.
Per meglio precisare, tale attestazione è una pratica introdotta in tempi relativamente recenti dall'amministrazione milanese, per ovviare ai tempi biblici di risposta alle richieste di visura atti (mi è capitato a volte di attendere più di un anno, anche solo per sapere che non trovano più nulla). In questa situazione il comune, passati 60 giorni, permette al professionista di asseverare la consistenza partendo dall'ultimo catasto o altri documenti, liberandolo nel contempo dall'accusa di negligenza nel caso in cui la ricerca dovesse dare esiti diversi.
Ringrazio anche lei. In genere mi occupo di progetti più grandi, nei quali la compravendita viene accompagnata da due diligence consistenti, e non mi sono mai trovato di fronte a simili problematiche. Il tema dell'accesso agli atti a Milano è un tema spinoso: come dicevo al collega nella precedente risposta, i tempi di attesa sono biblici, peggiorati ulteriormente dalle verifiche legate al superbonus. Quindi, purtroppo, in questo caso le sue riflessioni, seppur giuste, non hanno riscontro operativo. A Milano, proprio in forza di ciò, viene permesso al professionista di accertare la consistenza usando altri documenti che non siano i titoli edilizi, non rintracciabili in tempi utili o non rintracciabili tout court da un accesso agli atti. E' vero quanto lei dice in chiusura, ma tenga conto che la CILA in questione è già una sanatoria e chi l'ha redatta ha fatto, a suo dire, un rilievo. Io sono tenuto ad accertarmi dell'ultimo titolo edilizio presentato, la cui responsabilità è in capo a chi l'ha asseverato.
Lo stratagemma inventato dal Comune di Milano per ovviare alla propria incapacità di soddisfare le richieste di accesso agli atti, credo, abbia un valore legale molto discutibile. Se la faccenda dovesse finire in tribunale, con buona probabilità, ci si accorgerebbe che summenzionata "semplificazione" non vale nulla nell'effettiva determinazione della conformità di un immobile. Di fatto il Comune, così facendo, s'è inventato una sorta di "maxi condono" (gratuito ed indiscriminato) al di sopra della normativa statale. Un "maxi condono" che si rivela una lama a doppio taglio, però, visto che a fronte di abusi magicamente regolarizzati o mai esistiti, potrebbero perdersi le tracce di interventi legittimi facendoli apparire come abusivi.
Ci andrei coi piedi di piombo ad appellarmi ad una simile concessione normativo/burocratica, nell'interesse mio e della committenza, perchè, ripeto, non so quanto possa valere, in sede di contenzioso, la soluzione del Comune di Milano al di fuori del contesto in cui, per comodo, viene applicata.
Tutto ciò premesso, in fase di accertamento, non si è tenuti a verificare lo stato di fatto e l'ultimo titolo, ma tutti e la congruenza tra loro, basandosi sulle planimetrie catastali, nel caso non si rinvenga nulla. Ovviamente, anche nel caso delle visure planimetriche, è d'obbligo il confronto tra le ultime disponibili con quelle storiche, qualora esistenti (perchè, diversamente, si potrebbe facilmente pensare, in caso di assenza di titoli, di accatastare ex novo e creare, così facendo, uno stato legittimo "di comodo").
Ci andrei coi piedi di piombo ad appellarmi ad una simile concessione normativo/burocratica, nell'interesse mio e della committenza, perchè, ripeto, non so quanto possa valere, in sede di contenzioso, la soluzione del Comune di Milano al di fuori del contesto in cui, per comodo, viene applicata.
Tutto ciò premesso, in fase di accertamento, non si è tenuti a verificare lo stato di fatto e l'ultimo titolo, ma tutti e la congruenza tra loro, basandosi sulle planimetrie catastali, nel caso non si rinvenga nulla. Ovviamente, anche nel caso delle visure planimetriche, è d'obbligo il confronto tra le ultime disponibili con quelle storiche, qualora esistenti (perchè, diversamente, si potrebbe facilmente pensare, in caso di assenza di titoli, di accatastare ex novo e creare, così facendo, uno stato legittimo "di comodo").