Da comproprietario, volevo chiedere due chiarimenti, forse banali per gli addetti ai lavori, per farmi un'idea economica della questione e se proseguire o meno.
Il mio fabbricato, degli anni 50, ha impronta planimetria di circa 115mq, è organizzato su due livelli ed è costruito in muratura portante. Purtroppo è stato realizzato con varie difformità rispetto alla licenza edilizia di allora (traslazione di sedime di 80cm e stessa area di ricoprimento pari al 93%, diversa posizione e dimensione (in riduzione) di finestre e balconi, una pensilina muraria a copertura di un balcone, diversa dimensione delle scale di ingresso esterno). In epoche successive, sono stati effettuati ulteriori interventi che hanno modificato i prospetti (trasformazione di una finestra in portafinestra, chiusura di una finestra, intallazione di pensiline leggere per riparo agenti atmosferici). Mi sono posto quindi le seguenti domande:
1) in caso di sanatoria oggi, la sanzione va considerata in maniera unitaria e riferita all’intervento principale nel suo complesso (difformità dalla licenza edilizia originaria, corrispondente oggi a PdC o SCIA alternativa), oppure va spacchettata ogni categoria di intervento abusivo (a seconda che rientri in manutenzione straordinaria, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ecc.) e per ciascuno applicata la sanzione relativa? Ci sono altri criteri di spacchettamento da considerare? (per piano/proprietario? oppure, ogni elemento difforme costituisce un caso a se?)
2) il calcolo del costo di costruzione va effettuato come se l'intervento abusivo venisse eseguito oggi? Mi spiego. Ad esempio la traslazione di una finestra, a parità di dimensioni, in fase di realizzazione non ha un costo di costruzione. Così come la costruzione di un balcone con superficie minore. Una finestra con dimensioni diverse rispetto al progetto ha invece un costo maggiore/minore dato dalla differenza, in più o in meno, in termini di opere murarie da realizzare e superficie degli infissi da installare.
Quindi, come andrebbe conteggiato il costo di costruzione?
E quello relativo allo spostamento di sedime? Anche in questo caso non c'è stato in realtà un costo di costruzione. Quindi potrebbero esserci tre ipotesi: 1) nessun costo di costruzione, 2) costo di costruzione relativo al 7% dell'edificio traslato (demolizione di una "fetta verticale" di 80 cm di edificio da un lato e ricostruzione della stessa dall'altro lato), 3) costo di costruzione relativo al 100% dell'edificio. Per i punti 2 e 3 immagino dipenda anche se si tratti di totale o parziale difformità.
Grazie a chi vorrà rispondermi.
renzo : [post n° 459054]
Quesiti sanatoria edilizia
La sanzione va applicata in base al tipo di opera abusiva con la specifica che in alcuni comuni si sommano ad esempio quelle relative alla diversa distribuzione spazi interni a quelle per difformità più "pesanti", relative alla trasformazione dei prospetti, modifiche della sagoma e del volume ecc.
La legge regionale prescrive le modalità applicative e l'entità dell'oblazione atta al rilascio del titolo in sanatoria, in base alla "gravità dell'abuso": potranno comunque esserci delibere locali che dispongono in modo più restrittivo.
Di base per opere rientranti nella ristrutturazione edilizia, l'importo è determinato, per la parte relativa al contributo calcolato sul costo di costruzione, come "aliquota" del costo determinato dal computo metrico estimativo aggiornato all'ultimo prezzario ufficiale, nell'ipotesi del tutto "astratta" di operare oggi quella trasformazione fisica per portare l'immobile dal precedente stato (legittimo) a quello attuale (da legittimare).
In generale l'abuso segue la proprietà: pertanto sono chiamati ciascuno per la propria quota a rispondere delle sanzioni/ripristini.
Tuttavia le valutazioni da effettuare sono di carattere sia procedurale che analitico pertanto è impossibile dare una risposta univoca e comunque tale corrisponde generalmente ad una attività di consulenza: contattare un tecnico per uno studio di fattibilità.
La legge regionale prescrive le modalità applicative e l'entità dell'oblazione atta al rilascio del titolo in sanatoria, in base alla "gravità dell'abuso": potranno comunque esserci delibere locali che dispongono in modo più restrittivo.
Di base per opere rientranti nella ristrutturazione edilizia, l'importo è determinato, per la parte relativa al contributo calcolato sul costo di costruzione, come "aliquota" del costo determinato dal computo metrico estimativo aggiornato all'ultimo prezzario ufficiale, nell'ipotesi del tutto "astratta" di operare oggi quella trasformazione fisica per portare l'immobile dal precedente stato (legittimo) a quello attuale (da legittimare).
In generale l'abuso segue la proprietà: pertanto sono chiamati ciascuno per la propria quota a rispondere delle sanzioni/ripristini.
Tuttavia le valutazioni da effettuare sono di carattere sia procedurale che analitico pertanto è impossibile dare una risposta univoca e comunque tale corrisponde generalmente ad una attività di consulenza: contattare un tecnico per uno studio di fattibilità.
Grazie della risposta.
Due informazioni molti importanti.
La più importante è quella dell'ipotesi del tutto "astratta" di...
per la quale, a mio avviso, si è diffusa una interpretazione distorta delle intenzioni del legislatore, in quanto non trovo sia nelle norme nazionali, sia nelle norme regionali, sia nei regolamenti e circolari comunali, un riferimento chiaro alla modalità calcolo del costo di una trasformazione fisica, in particolare nel caso in cui non vi sia, di fatto, un "delta" oggettivo (e in positivo) rispetto allo stato legittimato, e che quindi potrebbe essere anche pari a ZERO.
Non so se vi sia giurisprudenza al riguardo.
Da quel che capisco, è tutto lasciato all'interpretazione del tecnico istruttore comunale.
Allora, per esempio, scendendo più nel dettaglio, nel computo metrico estimativo aggiornato all'ultimo prezzario ufficiale, nell'ipotesi del tutto "astratta" di operare oggi quella trasformazione fisica per portare l'immobile dal precedente stato (legittimo) a quello attuale (da legittimare), fin dove occorre spingersi? Vanno compresi i ponteggi? Le opere provvisionali? I costi della sicurezza? I trasporti e conferimenti a discarica? E le spese tecniche di progettazione e collaudo?
Dove sono stabiliti questi "dettagli"? (io faccio riferimento al Comune di Roma)
Ma questa è una materia in cui ci si muove sulla base di leggi e regolamenti o in base alle interpretazioni e/o all'umore del tecnico comunale che troviamo allo sportello?
Per alcune fattispecie avrei trovato più sensata un'oblazione composta da una quota fissa e, sì, una quota variabile in base al costo di costruzione, ma laddove applicabile.
Mi perdoni la polemica, archspf, che ovviamente non è indirizzata a lei.
Grazie ancora.
Due informazioni molti importanti.
La più importante è quella dell'ipotesi del tutto "astratta" di...
per la quale, a mio avviso, si è diffusa una interpretazione distorta delle intenzioni del legislatore, in quanto non trovo sia nelle norme nazionali, sia nelle norme regionali, sia nei regolamenti e circolari comunali, un riferimento chiaro alla modalità calcolo del costo di una trasformazione fisica, in particolare nel caso in cui non vi sia, di fatto, un "delta" oggettivo (e in positivo) rispetto allo stato legittimato, e che quindi potrebbe essere anche pari a ZERO.
Non so se vi sia giurisprudenza al riguardo.
Da quel che capisco, è tutto lasciato all'interpretazione del tecnico istruttore comunale.
Allora, per esempio, scendendo più nel dettaglio, nel computo metrico estimativo aggiornato all'ultimo prezzario ufficiale, nell'ipotesi del tutto "astratta" di operare oggi quella trasformazione fisica per portare l'immobile dal precedente stato (legittimo) a quello attuale (da legittimare), fin dove occorre spingersi? Vanno compresi i ponteggi? Le opere provvisionali? I costi della sicurezza? I trasporti e conferimenti a discarica? E le spese tecniche di progettazione e collaudo?
Dove sono stabiliti questi "dettagli"? (io faccio riferimento al Comune di Roma)
Ma questa è una materia in cui ci si muove sulla base di leggi e regolamenti o in base alle interpretazioni e/o all'umore del tecnico comunale che troviamo allo sportello?
Per alcune fattispecie avrei trovato più sensata un'oblazione composta da una quota fissa e, sì, una quota variabile in base al costo di costruzione, ma laddove applicabile.
Mi perdoni la polemica, archspf, che ovviamente non è indirizzata a lei.
Grazie ancora.
Parlando di computo metrico estimativo questi non potrà mai avere valore zero, per ovvi motivi.
Le attività da riportare sono quelle indicate nelle delibere locali: ad esempio a Roma si possono scomputare le lavorazioni di M.O.. La composizione della perizia è tuttavia lasciata alla discrezionalità del tecnico.
Attenzione però, si parla di opere e non di spese professionali o di altra natura: d'altronde è un costo di costruzione.
su Roma: può trovare indicazioni sulle modalità applicative nella delibera DAC 44/2011, mentre i rimandi sul calcolo del costo di costruzione nella Circolare Esplicativa 67246/2013, sempreché non le abbiano aggiornate di recente. In tema di indirizzo e riferimento, vale la Legge Regione Lazio 15/2008 con le modifiche introdotte con la LR 1/2020.
Le attività da riportare sono quelle indicate nelle delibere locali: ad esempio a Roma si possono scomputare le lavorazioni di M.O.. La composizione della perizia è tuttavia lasciata alla discrezionalità del tecnico.
Attenzione però, si parla di opere e non di spese professionali o di altra natura: d'altronde è un costo di costruzione.
su Roma: può trovare indicazioni sulle modalità applicative nella delibera DAC 44/2011, mentre i rimandi sul calcolo del costo di costruzione nella Circolare Esplicativa 67246/2013, sempreché non le abbiano aggiornate di recente. In tema di indirizzo e riferimento, vale la Legge Regione Lazio 15/2008 con le modifiche introdotte con la LR 1/2020.
Grazie per i riferimenti normativi, li conosco perché negli ultimi giorni ho cercato di farmi una cultura in materia, ma senza trovare le indicazioni che cerco (di cui al post di origine).
Il "costo di costruzione" che io trovo normato è quello del DM 801/77.
Riguardo al computo estimativo mai nullo, personalmente dissento, per quel che possa valere.
Quando sia asseverabile dal tecnico la semplice "traslazione" di un elemento, a parità di grandezze, avvenuta in fase di realizzazione e non ex post, mi viene molto difficile pensare ad una sanzione basata sul "costo di costruzione" e non su un importo prestabilito, commisurato alla gravità dell'abuso, per il solo fatto di averlo commesso.
Ad ogni modo, la mia polemica sul "concetto interpretativo" scaturisce dal fatto che sono andato alla Unità Tecnica del comune per avere chiarimenti in merito al CME relativo al costo di costruzione. Due volte (per successivi approfondimenti).
Il primo tecnico mi ha spiegato che vanno considerate solo le eventuali opere/materiali in più derivanti da una variazione, il ché mi era sembrato ragionevole.
Il secondo tecnico (diverso dal primo, ma dello stesso ufficio) mi ha spiegato, invece, che vanno considerate sempre con segno positivo, sia le opere/materiali in meno che quelle/i in più.
Quando mi sono permesso di chiedere dove potessi trovare il riferimento normativo di questo "modus operandi", è andato su di giri, rimandandomi nientemeno che al DPR 380/2001.
Su altra questione, invece, lo stesso tecnico mi ha rimandato al sistema sanzionatorio dei punti 1, 2 e 3 della DAC 44/2011, con applicazione dei valori OMI.
Come immagino sapranno tutti gli addetti ai lavori, tale sistema non più applicabile dal 2019, dichiarato illegittimo con sentenza della CC.
Io non lo sapevo e l'ho scoperto dopo.
Ma il tecnico comunale?
Il "costo di costruzione" che io trovo normato è quello del DM 801/77.
Riguardo al computo estimativo mai nullo, personalmente dissento, per quel che possa valere.
Quando sia asseverabile dal tecnico la semplice "traslazione" di un elemento, a parità di grandezze, avvenuta in fase di realizzazione e non ex post, mi viene molto difficile pensare ad una sanzione basata sul "costo di costruzione" e non su un importo prestabilito, commisurato alla gravità dell'abuso, per il solo fatto di averlo commesso.
Ad ogni modo, la mia polemica sul "concetto interpretativo" scaturisce dal fatto che sono andato alla Unità Tecnica del comune per avere chiarimenti in merito al CME relativo al costo di costruzione. Due volte (per successivi approfondimenti).
Il primo tecnico mi ha spiegato che vanno considerate solo le eventuali opere/materiali in più derivanti da una variazione, il ché mi era sembrato ragionevole.
Il secondo tecnico (diverso dal primo, ma dello stesso ufficio) mi ha spiegato, invece, che vanno considerate sempre con segno positivo, sia le opere/materiali in meno che quelle/i in più.
Quando mi sono permesso di chiedere dove potessi trovare il riferimento normativo di questo "modus operandi", è andato su di giri, rimandandomi nientemeno che al DPR 380/2001.
Su altra questione, invece, lo stesso tecnico mi ha rimandato al sistema sanzionatorio dei punti 1, 2 e 3 della DAC 44/2011, con applicazione dei valori OMI.
Come immagino sapranno tutti gli addetti ai lavori, tale sistema non più applicabile dal 2019, dichiarato illegittimo con sentenza della CC.
Io non lo sapevo e l'ho scoperto dopo.
Ma il tecnico comunale?
Non si tratta di dare una interpretazione ma di applicare semplicemente il principio indicato nei regolamenti: l'oblazione è calcolata sul costo di costruzione determinato con computo metrico estimativo, come se si dovesse operare in questo momento la trasformazione. Per esempio per "spostare" una finestra devo:
- eliminare il vecchio infisso
- tamponare e rifinire il vano
- aprire un nuovo vano
- installare il nuovo infisso.
Che siano "negative" o "positive" è del tutto ininfluente: determinano un costo del lavoro fittizio.
Inoltre dopo la sentenza, la regione ha aggiornato lo schema della legge 15/2008, stabilendo che il contributo per interventi di cui agli art. 16 o 18 (ristrutturazione edilizia) siano determinati in misura pari a due volte il contributo sul costo di costruzione (più una volta il contributo stesso) ai sensi dell'art. 22 comma 1 lettera b) della citata legge. Si veda anche il Parere del dip. Pau prot. 103381/2020.
- eliminare il vecchio infisso
- tamponare e rifinire il vano
- aprire un nuovo vano
- installare il nuovo infisso.
Che siano "negative" o "positive" è del tutto ininfluente: determinano un costo del lavoro fittizio.
Inoltre dopo la sentenza, la regione ha aggiornato lo schema della legge 15/2008, stabilendo che il contributo per interventi di cui agli art. 16 o 18 (ristrutturazione edilizia) siano determinati in misura pari a due volte il contributo sul costo di costruzione (più una volta il contributo stesso) ai sensi dell'art. 22 comma 1 lettera b) della citata legge. Si veda anche il Parere del dip. Pau prot. 103381/2020.
Premetto che questo scambio di opinioni mi fa molto piacere e la ringrazio per il tempo che mi dedica.
Detto questo, a mio avviso, l'oblazione "calcolata sul costo di costruzione determinato con computo metrico estimativo, come se si dovesse operare in questo momento la trasformazione", * è * una interpretazione (in particolare rispetto alla norma "madre") insieme a quella di dover scomporre una serie di opere difformi dall'originario titolo edilizio, nelle rispettive sottocategorie e relativi titoli abilitativi.
Si veda a quest'ultimo proposito la Sentenza n. 5267/2021 del CdS, laddove richiama l'inutilità di "parcellizzare l’analisi dei vari abusi realizzati, invocando per ogni singolo intervento l’applicazione di una disciplina di favore, ma così andando di contrario avviso rispetto alla necessaria valutazione complessiva e non atomistica che deve riguardare l’abuso. Non è dato, infatti, scomporre l’abuso in più parti, al fine di negarne l’assoggettabilità alla sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L’opera edilizia abusiva va identificata con riferimento all’immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato".
Ritengo che ciò vada letto con una duplice accezione: sia nella valutazione dell'abuso, sia nella valutazione della sanzione applicabile con l'istituto dell'accertamento di conformità.
Passiamo al caso pratico, come quello del mio edificio, edificato negli anni '50 dietro licenza edilizia, in area a tutt'oggi esente da vincoli, con un intervento di D&R "pesante", cui oggi corrisponderebbe un PdC o una SCIA alternativa.
Prendiamo le seguenti difformità rilevate rispetto al progetto autorizzato:
1) traslazione dell'area di sedime di 80 cm, con ricoprimento dell'area di progetto al 93% e senza influire sui distacchi minimi;
2) riduzione della superficie di due balconi rispettivamente del 33% e del 47%;
3) traslazione (decimetrica) e riduzione (centimetrica) delle finestrature.
Accertato (e asseverabile):
a) che dette difformità siano tutte risalenti al momento della costruzione dell'edificio e non riconducibili ad interventi successivi;
b) che l’intervento realizzato (nella sua interezza) risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della presentazione della domanda;
relativamente all’istituto dell’accertamento di conformità, siamo quindi nel caso di un intervento (nella sua interezza) realizzato in difformità (totale o parziale, da stabilire) dal PdC o dalla SCIA alternativa, ricadente nell’art. 36 del DPR 380/2001, che prevede un’oblazione pari al contributo di costruzione in misura doppia.
Nel DPR 380/2001, il contributo di costruzione è trattato all’art. 16 e, in particolare, il contributo relativo al costo di costruzione va determinato per le nuove costruzioni ai sensi del comma 9 (il caso del mio edificio non può qualificarsi come “edificio esistente” ai sensi del comma 10).
La tipologia di interventi contemplata nell’art. 36 riguarda, in senso generale, la realizzazione di nuove superfici o volumi utili, ma anche accessori, quantificabili sotto forma di contributo di costruzione di cui all’art. 16 (questo è il senso che io rilevo nelle intenzioni del legislatore).
Ora, gli interventi di cui all’art. 36 del DPR (eseguiti in assenza del PdC o della SCIA alternativa, ovvero in totale/parziale difformità dai medesimi titoli) corrispondono al sistema sanzionatorio di cui agli artt. 15, 16 e 18 della LR 15/2008.
Ai sensi dell’art. 22 della predetta LR, l’accertamento di conformità relativo agli art. 15, 16 e 18 prevede, concordemente alla norma nazionale, una sanzione basata sulla quantificazione del contributo di costruzione.
Tornando alle difformità dell’edificio elencate in precedenza, escludendo che il punto 1) possa ricadere nella “totale difformità” di cui all’art. 31 c.1 del TUE, nonché in una “variazione essenziale”, come declinata dall’art. 32 del TUE e dall’art. 17 della LR 15/2008, ecco venire in soccorso del caso in argomento il comma 2 dell’art. 22 del TUE, nel quale dovrebbero rientrare addirittura tutte e tre le difformità sopra elencate.
Pertanto, detti interventi, costituenti di fatto una variante al PdC, sono realizzabili, secondo la norma cogente, mediante SCIA.
Ecco quindi, che le tre difformità afferenti al fabbricato, non sono più qualificabili come interventi realizzati in difformità dal PdC/SCIA alternativa, ma come interventi realizzati in assenza di SCIA.
Conseguentemente, l’accertamento di conformità segue i dettami dell’art. 37 del DPR 380/2001 e non quelli dell’art. 36.
Per la tipologia di interventi contemplati dall’art. 37, il Legislatore ha previsto (ritengo non a caso) una sanzione non più basata sulla quantificazione del contributo di costruzione (intuitivamente sembrerebbe più che ragionevole, data la loro natura), ma sull’AUMENTO DI VALORE DELL’IMMOBILE (se e quando questo effettivamente si concretizza, aggiungo io) stabilito dal RdP e in misura in misura non inferiore a 516 euro.
Quindi una sanzione “fissa”, correlata ad una valutazione dell’aumento di valore dell’immobile (per uno o più interventi eseguiti) e che, come nel caso di specie (traslazione area di sedime, riduzione dei balconi, traslazione/riduzione delle finestre), non è detto che vi sia. Anzi.
In buona sostanza, la norma nazionale sembrerebbe molto coerente.
La fattispecie di cui all’art. 37 del TUE (interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA) corrisponde al sistema sanzionatorio della LR 15/2008, previsto in maniera “zoppa” dall’art. 19, in quanto sono esplicitati chiaramente gli interventi di cui all’art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001, ma si fa ancora riferimento alla DIA, titolo non più attuale.
Ora, ai sensi dell’art. 22 della LR, l’accertamento di conformità nel caso dell’art. 19, prevede, DISCORDEMENTE dalla norma nazionale, la sanzione “di un importo da un minimo di mille euro ad un massimo di 10 mila euro, in relazione alla gravità dell’abuso”.
Quindi è cambiato il principio della norma nazionale: non più una sanzione basata sull’aumento di valore dell’immobile, conseguente ad uno o più interventi realizzati abusivamente, ma basata sulla “gravità” dell’abuso (gravità già implicita nella classificazione della fattispecie). Oltretutto, tale disposizione lascia spazio all’interpretazione, cioè se in presenza di più abusi (che possono essere di diversa tipologia, ovvero della stessa tipologia, ma ripetuti più volte come nel caso della traslazione di finestre) la sanzione vada applicata una o più volte.
Ma questa eventuale interpretazione si contrapporrebbe al principio enunciato nella Sentenza n. 5267/2021 del CdS sopra richiamata, che ha censurato la possibilità di scomporre l’abuso in più parti.
In ogni caso, per gli interventi edilizi abusivi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001, la sanzione stabilita dall’art. 22, c.2 lett. c) della LR 15/2008 non prevede alcun riferimento al contributo di costruzione.
Scendendo ulteriormente nel rango normativo, nella DAC 44/2011 il punto 4 riporta le sanzioni pecuniarie per gli interventi edilizi di cui all’art. 22 comma 1 e 2 del D.P.R. n. 380/2001 eseguiti in assenza, o in difformità dal titolo abilitativo, ai sensi dell’art. 19 della LR 15/2008. In questo caso le sanzioni sono prestabilite, a seconda delle categorie di appartenenza, e non fanno riferimento al contributo di costruzione.
Tuttavia, il suddetto punto 4 della DAC individua esclusivamente gli interventi di categoria RC e MS, non contemplando quelli di RE1 (presumo a causa dell’assetto normativo vigente nel 2011). Ma essendo esplicitato il riferimento normativo agli interventi di cui all’art. 22 comma 2 lett. c) della L.R. n. 15/2008, che rimanda a quelli di cui all’art. 19 della stessa legge, che a sua volta rimanda inequivocabilmente agli interventi edilizi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001, ritengo che non vi sia molto spazio per l’interpretazione di quali siano gli interventi soggetti all'oblazione.
Venendo al parere 103381/2020 del PAU, questo riporta correttamente le modifiche introdotte nella norma nazionale dal Decreto Semplificazioni. Ma nel correlare al nuovo quadro normativo le procedure di accertamento di conformità di cui all’art. 22 della LR 15/2008, il Dipartimento effettua, a mio avviso, una DEDUZIONE del tutto erronea, qualificando gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3 c.1 lett. d) del DPR 380/2001, subordinati a SCIA ai sensi dell’art. 22 c.1 lett. c) del medesimo DPR, come soggetti al sistema sanzionatorio dell’art. 22 c.2 lett. b) della LR 15/2008, che a sua volta rimanda ai casi previsti agli artt. 16 e 18 della stessa LR, che a loro volta si rivolgono espressamente agli interventi previsti all’art. 10 c.1 lett. c) del DPR 380/2001. Interventi di tutt’altra valenza.
Nell’interpretazione del nuovo quadro normativo sopravvenuto nel 2020, il PAU ha di fatto cassato ogni riferimento all’art. 19 della LR 15/2008 e quindi all’art. 37 del DPR 380/2001, ignorando i precisi riferimenti normativi di cui agli art. 16, 18 e 19, che individuano inequivocabilmente le rispettive categorie di intervento edilizio a cui si riferiscono.
Secondo il mio modesto parere questo passaggio non è affatto legittimabile, snaturando i principi delle norme.
In pratica, dal parere del PAU (che rimane un parere) consegue che nel Comune di Roma gli interventi abusivi di ristrutturazione edilizia leggera ricadono in procedura art. 36 del TUE, generando ulteriori interpretazioni sulle modalità di quantificazione della sanzione da applicare per detti interventi.
Ecco spiegato il perché ci si trova a dover quantificare in maniera diversa da quella prevista dal Legislatore, tramite il contributo di costruzione - e quindi tramite un CME del tutto fittizio (peraltro soggetto ad arbitraria interpretazione del tecnico o del funzionario comunale), un intervento di entità non commisurata e completamente astratto, come ad esempio quello della traslazione di una finestra in difformità dal progetto approvato, effettuato in fase di costruzione dell’edificio.
Detto questo, a mio avviso, l'oblazione "calcolata sul costo di costruzione determinato con computo metrico estimativo, come se si dovesse operare in questo momento la trasformazione", * è * una interpretazione (in particolare rispetto alla norma "madre") insieme a quella di dover scomporre una serie di opere difformi dall'originario titolo edilizio, nelle rispettive sottocategorie e relativi titoli abilitativi.
Si veda a quest'ultimo proposito la Sentenza n. 5267/2021 del CdS, laddove richiama l'inutilità di "parcellizzare l’analisi dei vari abusi realizzati, invocando per ogni singolo intervento l’applicazione di una disciplina di favore, ma così andando di contrario avviso rispetto alla necessaria valutazione complessiva e non atomistica che deve riguardare l’abuso. Non è dato, infatti, scomporre l’abuso in più parti, al fine di negarne l’assoggettabilità alla sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L’opera edilizia abusiva va identificata con riferimento all’immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato".
Ritengo che ciò vada letto con una duplice accezione: sia nella valutazione dell'abuso, sia nella valutazione della sanzione applicabile con l'istituto dell'accertamento di conformità.
Passiamo al caso pratico, come quello del mio edificio, edificato negli anni '50 dietro licenza edilizia, in area a tutt'oggi esente da vincoli, con un intervento di D&R "pesante", cui oggi corrisponderebbe un PdC o una SCIA alternativa.
Prendiamo le seguenti difformità rilevate rispetto al progetto autorizzato:
1) traslazione dell'area di sedime di 80 cm, con ricoprimento dell'area di progetto al 93% e senza influire sui distacchi minimi;
2) riduzione della superficie di due balconi rispettivamente del 33% e del 47%;
3) traslazione (decimetrica) e riduzione (centimetrica) delle finestrature.
Accertato (e asseverabile):
a) che dette difformità siano tutte risalenti al momento della costruzione dell'edificio e non riconducibili ad interventi successivi;
b) che l’intervento realizzato (nella sua interezza) risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della presentazione della domanda;
relativamente all’istituto dell’accertamento di conformità, siamo quindi nel caso di un intervento (nella sua interezza) realizzato in difformità (totale o parziale, da stabilire) dal PdC o dalla SCIA alternativa, ricadente nell’art. 36 del DPR 380/2001, che prevede un’oblazione pari al contributo di costruzione in misura doppia.
Nel DPR 380/2001, il contributo di costruzione è trattato all’art. 16 e, in particolare, il contributo relativo al costo di costruzione va determinato per le nuove costruzioni ai sensi del comma 9 (il caso del mio edificio non può qualificarsi come “edificio esistente” ai sensi del comma 10).
La tipologia di interventi contemplata nell’art. 36 riguarda, in senso generale, la realizzazione di nuove superfici o volumi utili, ma anche accessori, quantificabili sotto forma di contributo di costruzione di cui all’art. 16 (questo è il senso che io rilevo nelle intenzioni del legislatore).
Ora, gli interventi di cui all’art. 36 del DPR (eseguiti in assenza del PdC o della SCIA alternativa, ovvero in totale/parziale difformità dai medesimi titoli) corrispondono al sistema sanzionatorio di cui agli artt. 15, 16 e 18 della LR 15/2008.
Ai sensi dell’art. 22 della predetta LR, l’accertamento di conformità relativo agli art. 15, 16 e 18 prevede, concordemente alla norma nazionale, una sanzione basata sulla quantificazione del contributo di costruzione.
Tornando alle difformità dell’edificio elencate in precedenza, escludendo che il punto 1) possa ricadere nella “totale difformità” di cui all’art. 31 c.1 del TUE, nonché in una “variazione essenziale”, come declinata dall’art. 32 del TUE e dall’art. 17 della LR 15/2008, ecco venire in soccorso del caso in argomento il comma 2 dell’art. 22 del TUE, nel quale dovrebbero rientrare addirittura tutte e tre le difformità sopra elencate.
Pertanto, detti interventi, costituenti di fatto una variante al PdC, sono realizzabili, secondo la norma cogente, mediante SCIA.
Ecco quindi, che le tre difformità afferenti al fabbricato, non sono più qualificabili come interventi realizzati in difformità dal PdC/SCIA alternativa, ma come interventi realizzati in assenza di SCIA.
Conseguentemente, l’accertamento di conformità segue i dettami dell’art. 37 del DPR 380/2001 e non quelli dell’art. 36.
Per la tipologia di interventi contemplati dall’art. 37, il Legislatore ha previsto (ritengo non a caso) una sanzione non più basata sulla quantificazione del contributo di costruzione (intuitivamente sembrerebbe più che ragionevole, data la loro natura), ma sull’AUMENTO DI VALORE DELL’IMMOBILE (se e quando questo effettivamente si concretizza, aggiungo io) stabilito dal RdP e in misura in misura non inferiore a 516 euro.
Quindi una sanzione “fissa”, correlata ad una valutazione dell’aumento di valore dell’immobile (per uno o più interventi eseguiti) e che, come nel caso di specie (traslazione area di sedime, riduzione dei balconi, traslazione/riduzione delle finestre), non è detto che vi sia. Anzi.
In buona sostanza, la norma nazionale sembrerebbe molto coerente.
La fattispecie di cui all’art. 37 del TUE (interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA) corrisponde al sistema sanzionatorio della LR 15/2008, previsto in maniera “zoppa” dall’art. 19, in quanto sono esplicitati chiaramente gli interventi di cui all’art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001, ma si fa ancora riferimento alla DIA, titolo non più attuale.
Ora, ai sensi dell’art. 22 della LR, l’accertamento di conformità nel caso dell’art. 19, prevede, DISCORDEMENTE dalla norma nazionale, la sanzione “di un importo da un minimo di mille euro ad un massimo di 10 mila euro, in relazione alla gravità dell’abuso”.
Quindi è cambiato il principio della norma nazionale: non più una sanzione basata sull’aumento di valore dell’immobile, conseguente ad uno o più interventi realizzati abusivamente, ma basata sulla “gravità” dell’abuso (gravità già implicita nella classificazione della fattispecie). Oltretutto, tale disposizione lascia spazio all’interpretazione, cioè se in presenza di più abusi (che possono essere di diversa tipologia, ovvero della stessa tipologia, ma ripetuti più volte come nel caso della traslazione di finestre) la sanzione vada applicata una o più volte.
Ma questa eventuale interpretazione si contrapporrebbe al principio enunciato nella Sentenza n. 5267/2021 del CdS sopra richiamata, che ha censurato la possibilità di scomporre l’abuso in più parti.
In ogni caso, per gli interventi edilizi abusivi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001, la sanzione stabilita dall’art. 22, c.2 lett. c) della LR 15/2008 non prevede alcun riferimento al contributo di costruzione.
Scendendo ulteriormente nel rango normativo, nella DAC 44/2011 il punto 4 riporta le sanzioni pecuniarie per gli interventi edilizi di cui all’art. 22 comma 1 e 2 del D.P.R. n. 380/2001 eseguiti in assenza, o in difformità dal titolo abilitativo, ai sensi dell’art. 19 della LR 15/2008. In questo caso le sanzioni sono prestabilite, a seconda delle categorie di appartenenza, e non fanno riferimento al contributo di costruzione.
Tuttavia, il suddetto punto 4 della DAC individua esclusivamente gli interventi di categoria RC e MS, non contemplando quelli di RE1 (presumo a causa dell’assetto normativo vigente nel 2011). Ma essendo esplicitato il riferimento normativo agli interventi di cui all’art. 22 comma 2 lett. c) della L.R. n. 15/2008, che rimanda a quelli di cui all’art. 19 della stessa legge, che a sua volta rimanda inequivocabilmente agli interventi edilizi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001, ritengo che non vi sia molto spazio per l’interpretazione di quali siano gli interventi soggetti all'oblazione.
Venendo al parere 103381/2020 del PAU, questo riporta correttamente le modifiche introdotte nella norma nazionale dal Decreto Semplificazioni. Ma nel correlare al nuovo quadro normativo le procedure di accertamento di conformità di cui all’art. 22 della LR 15/2008, il Dipartimento effettua, a mio avviso, una DEDUZIONE del tutto erronea, qualificando gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3 c.1 lett. d) del DPR 380/2001, subordinati a SCIA ai sensi dell’art. 22 c.1 lett. c) del medesimo DPR, come soggetti al sistema sanzionatorio dell’art. 22 c.2 lett. b) della LR 15/2008, che a sua volta rimanda ai casi previsti agli artt. 16 e 18 della stessa LR, che a loro volta si rivolgono espressamente agli interventi previsti all’art. 10 c.1 lett. c) del DPR 380/2001. Interventi di tutt’altra valenza.
Nell’interpretazione del nuovo quadro normativo sopravvenuto nel 2020, il PAU ha di fatto cassato ogni riferimento all’art. 19 della LR 15/2008 e quindi all’art. 37 del DPR 380/2001, ignorando i precisi riferimenti normativi di cui agli art. 16, 18 e 19, che individuano inequivocabilmente le rispettive categorie di intervento edilizio a cui si riferiscono.
Secondo il mio modesto parere questo passaggio non è affatto legittimabile, snaturando i principi delle norme.
In pratica, dal parere del PAU (che rimane un parere) consegue che nel Comune di Roma gli interventi abusivi di ristrutturazione edilizia leggera ricadono in procedura art. 36 del TUE, generando ulteriori interpretazioni sulle modalità di quantificazione della sanzione da applicare per detti interventi.
Ecco spiegato il perché ci si trova a dover quantificare in maniera diversa da quella prevista dal Legislatore, tramite il contributo di costruzione - e quindi tramite un CME del tutto fittizio (peraltro soggetto ad arbitraria interpretazione del tecnico o del funzionario comunale), un intervento di entità non commisurata e completamente astratto, come ad esempio quello della traslazione di una finestra in difformità dal progetto approvato, effettuato in fase di costruzione dell’edificio.