DL Sviluppo: a rischio l'architettura del dopoguerra

A rischio di grave manomissione e distruzione l'architettura contemporanea italiana del secondo '900. Con la modifica del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il Decreto Sviluppo (DLgs 70/2011) estromette dal regime di salvaguardia un patrimonio di indiscusso e riconosciuto valore. Si tratta di un significativo brano della nostra storia architettonica rappresentato dalla ricostruzione post bellica e da espressioni della bravura di tanti autori riconosciuti a livello internazionale.

È' questo, infatti, l'effetto di un incomprensibile provvedimento contenuto nel Decreto Sviluppo - ora in corso di conversione in legge ed in attesa del voto di fiducia - che, variando l'art.10 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs 42/2004), innalza da 50 a 70 anni la soglia di età, oltre la quale, i beni immobili - di proprietà pubblica o di persone giuridiche private senza fine di lucro - sono da presumere di interesse culturale.

Aggiornamento del 18 luglio 2011
Pubblicata in G.U. la legge di conversione del Decreto Sviluppo, n.106 del 12 luglio 2011. Nessuna variazione per l'art. 4, co. 16 del testo: resta confermato l'innalzamento di 20 anni della soglia di tutela. L'estromissione dell'architettura del dopoguerra dal regime di salvaguardia da rischio si trasforma dunque in certezza.

Aggiornamento del 29 luglio 2011
La Legge Sviluppo e le novità introdotte al Codice dei beni culturali e del paesaggio. Nella legge di conversione semplificazioni nella procedura di autorizzazione paesaggistica; confermato l'innalzamento da 50 a 70 anni della soglia di salvaguardia e, quanto agli appalti di lavori per i beni culturali, ampliata la procedura negoziata fino ad importi di 1 milione.

Ad essere esclusi dal regime di tutela sono tutti quei beni costruiti tra il 1941 ed il 1961, che, invece, fino all'approvazione del Decreto potevano essere salvaguardati se la Soprintendenza, effettuata la verifica di interesse, ne avesse riconosciuto un effettivo valore. Ora quello stesso patrimonio, se non è stato sottoposto a tutela prima del 14 maggio 2011, rischia di essere compromesso. Come sottolinea l'INU - in un documento che propone numerosi emendamenti al decreto - si tratta di: «gruppi di immobili che costituiscono i migliori prodotti dell'urbanistica italiana nella storia repubblicana, ovvero i quartieri popolari e l'edilizia residenziale sociale dell'immediato secondo dopoguerra».

Solo per citare alcuni e non esaustivi esempi, sono a rischio opere di: Michelucci, Libera, Scarpa, Quaroni, BBPR, Muratori, Nervi, Aymonino, Ridolfi, Albini e tanti altri.

Per questo: CNACCP, INU, Ordine Architetti di Roma, AAA Italia, DOCOMOMO Italia, Italia Nostra fanno sentire la propria voce. Unanime la richiesta rivolta a Governo e Ministero per chiedere l'annullamento del comma 16 dell'articolo 4 del Decreto legge n. 70/2011, mentre sul web si sottoscrivono appelli e petizioni.

Le reazioni delle voci contrarie

Le associazioni AAA Italia, DOCOMOMO Italia e Italia Nostra, insieme esprimono la loro contrarietà per un provvedimento che «segna un arretramento permanente e gravissimo della cultura della tutela nel nostro Paese. La norma - aggiungono - «contraddice e vanifica le ingenti risorse intellettuali e finanziarie impegnate nell'ultimo decennio, soprattutto anche su impulso del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nella valorizzazione dell'architettura del secondo Novecento».

Ben precise le preoccupazioni di DOCOMOMO Italia per la fragilità del patrimonio architettonico e paesaggistico del XX sec. «i cui tempi di degrado e obsolescenza sono concretamente più brevi di quelli del patrimonio pre-moderno. Modifiche e sostituzioni non meditate di elementi e materiali caratterizzanti porterebbero, di fatto, alla perdita di molte delle più espressive e rilevanti testimonianze».

Ancora più dura la reazione del Consiglio Nazionale degli Architetti, secondo cui le presunte semplificazioni sono inopportune: Infatti, le valutazioni di interesse - fa notare il CNAPPC - dal 2004 ad oggi sono state attuate «con tempestività e rispetto dei termini di legge [...] vincolando selettivamente solo un terzo delle decine di migliaia di beni verificati».

Dalla contestazione degli intenti alle critiche più dure: per il CNAPPC «è un approccio che considera la tutela del patrimonio architettonico italiano un ostacolo allo sviluppo e non, al contrario, un valore intrinseco non solo della cultura ma anche dell'economia del Paese». L'unica richiesta possibile per gli architetti italiani è l'abbandono da parte del Governo di un approccio sbagliato, che potrebbe essere sostituito - suggeriscono - da un potenziamento delle Soprintendenze per un loro più tempestivo servizio a favore del nostro patrimonio e della collettività.

Le petizioni on line per fermare il provvedimento

Intanto il sito www.petizionionline.it raccoglie firme per bloccare il provvedimento e analogamente DOCOMOMO si mobilita insieme alle associazioni AAA Italia e Italia Nostra per formulare un appello - che tutti possiamo sottoscrivere compilando un form on line - e che sarà inviato al Consiglio Superiore dei BB.CC., ai più alti organi del Ministero e al Presidente della Repubblica.

di Mariagrazia Barletta architetto

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