In copertina le illustrazioni di © Federico Babina
A sinistra Lynch (serie Directportreit) | a destra: Lynch (serie Archidirector)
Regista, sceneggiatore e produttore, ma anche musicista e artista. A pochi giorni dalla sua scomparsa, tracciando una sintesi della sua scintillante carriera, una cosa è certa: David Lynch amava l'architettura. Lo si riscontra nelle dimensioni spaziali dei suoi film, nelle ambientazioni che si muovono dalla città ai piccoli centri, nei suoi interni cinematografici, fino alle recentissime Thinking Room, le stanze gemelle presentate lo scorso anno al Salone del Mobile.Milano, concepite come un universo parallelo.
Definibile come un contenitore umano di arti, David Lynch ha incarnato una personalità visionaria come poche, un costruttore di mondi onirici capace di dare forma - con la sola cinepresa - a icone spaziali entrate in silenzio nell'immaginario collettivo. Ne è derivata l'influenza sulle generazioni di registi e creativi, toccando persino il mondo della moda. O ancora soggetto da rappresentare con poche linee, grazie ai segni estetici distintivi, dal ciuffo ribelle al taglio degli occhi verso il basso, giacca nera e camicia bianca, come nelle iconiche grafiche di Federico Babina (in copertina).
Non è da tutti vantare un aggettivo ispirato alla propria persona. Ma lui è riuscito anche in questo, facendo entrare il termine lynchiano nel linguaggio comune, codificato da David Foster Wallace come "un tipo particolare di ironia dove il molto macabro e il molto banale si combinano in maniera da rivelare la corrispondenza continua dell'uno dentro l'altro".
Le ambientazioni dei suoi film partono da visioni archetipiche, ma nell'evoluzione delle storie si trasformano in qualcosa che evoca molto più di un semplice luogo. Si tratta, piuttosto, di porte capaci di farci entrare nel labirinto dell'inconscio, dove ognuno, pur ritrovando elementi conosciuti, rimane smarrito.
"Tutti i miei film parlano di mondi strani in cui non puoi entrare, a meno che non li costruisci e li filmi" - dichiarò nel 1990.
Classe 1946, David Lynch nacque a Missoula, nello stato del Montana, ma - come raccontò - la sua infanzia nomade (e felice) per seguire l'attività del padre, gli permise di comprendere facilmente la conformazione del territorio di ogni nuovo ambiente che attraversava. Da giovanissimo, trascorse dei mesi in Europa per studiare pittura e tornato in America, si trovò a lavorare per un brevissimo periodo come disegnatore in uno studio di architettura, dove fu presto licenziato perché, come lui stesso raccontò "mi piaceva lavorare solo di notte".
Del mondo degli architetti, Lynch apprezzava i maestri del XX secolo, specie "gli allievi della scuola del Bauhaus e Pierre Chareau che ha realizzato la Casa del Vetro a Parigi, Ludwig Mies van Der Roge, tutta la famiglia Wright, Rudolph Michael Schindler e Richard Neutra", scagliandosi invece contro le tendenze architettoniche successive, sostenendo che "i piccoli mini centri commerciali e le cose post-moderne uccidono l'anima".
Molte informazioni sono tratte dal libro The Architecture of David Lynch di Richard Martin, prima valutazione critica sostenuta del ruolo che architettura e design svolgono nei film di Lynch.
Martin combina la ricerca originale in location lynchiane a Los Angeles, Londra e Lódz con approfondimenti di architetti tra cui Adolf Loos, Le Corbusier e Jean Nouvel e teorici urbani come Jane Jacobs ed Edward Soja.
L'intreccio ripetuto tra Lynch e la famiglia Wright
Per ben due volte la carriera di Lynch ha incrociato il nome della famiglia Wright, che tanto apprezzava.
Dapprima con la Ennis House (già citata in Blade Runner di R. Scott nel 1982), i cui interni furono utilizzati per la prima volta come set della serie fittizia Invito all'amore, che compone il celebre universo de I Segreti di Twin Peaks del 1991. Un sodalizio confermato nel 2001 in Mulholland Drive, che vede i blocchi di cemento come fregio della porta del Club Silencio.
Posta in posizione privilegiata e isolata su una collina di Los Angeles, la Ennis House, progettata nel 1924 per Charles e Mable Ennis, si sviluppa in perfetta armonia con la natura, con chiari richiami estetici alle civiltà precolombiane che la resero spesso oggetto di desiderio di numerosi registi nei set cinematografici.

Ennis House in Los Feliz, Los Angeles, California | photo by Mike Dillon, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
Ma non è tutto. In un'intervista Lynch dichiarò di abitare proprio in una casa costruita negli anni '60 da Lloyd Wright, figlio di F.L.Wrigh: la Beverly Johnson House.
Dopo l'acquisto, Lynch commissionò al figlio di Lloyd, Eric Wright, una piscina e una depandance, nel rispetto dei criteri progettuali di suo padre.
"Wright è un grande architetto - dichiarò Lynch - La casa richiama in un certo senso l'architettura pura giapponese, ma anche la modernità americana. L'intero spazio è semplicemente piacevole, mi dà una bella sensazione. Quindi, vivere al suo interno influenza tutta la mia vita. E poi, a volte vedo cose, forme o qualcosa che andrebbe al suo interno e che porta a mobili o film. [...] È un posto meraviglioso. L'architettura è qualcosa a cui pensare sempre. Il design influenza la mia vita. Ho bisogno di spazi piacevoli. Spesso la mia mente vaga in quella direzione, ma non sono un architetto. Anche se apprezzo molto i grandi architetti e la differenza che un grande design può fare per una persona".
Le foto della Beverly Johnson House sul profilo instagram Survivalthroughdesign
Le atmosfere architettoniche di Lynch
Nella vastissima carriera lunga sessant'anni, appare evidente la consapevolezza di Lynch sul significato di ogni spazio: dalle case in contesti industriali ai palazzi in collina illuminati dal sole californiano, fino ai boschi e alle cascate del Pacifico nord-occidentale e le città semi abbandonate del profondo sud, o i campi di grano dell'Iowa e nel Wisconsin.. ogni angolo catturato evoca una sensazione, per lo più di inquietudine.
Che si tratti di fabbriche o autostrade, i mondi costruiti e filmati da Lynch hanno infatti qualcosa di riconoscibile (come i cartelli che indicano sempre il luogo geografico in cui ci troviamo), ma in quel frammento di comfort zone si nasconde una riflessione molto più ampia su come gli spazi che abitiamo ci plasmano e ci definiscono e come le architetture riescano a modellare anche le relazioni sociali.
Pareti sbiadite, mobili disposti in ordine, atmosfera straniante: tutta la sua architettura di interni è tattile, piena di texture e con grande cura delle superfici. Ne sono esempio gli interni dorati e brutalisti di Dune, i bar kitsch di Blue Velvet, gli iconici spazi drappeggiati di Twin Peaks.
Anche l'architetto Peter Eisenman ha citato il grande regista, sottolineando come il suo pensiero e le sue immagini riescano a scardinare le certezze acquisite. Ne è un esempio la Casa di Laura Palmer in Twin Peaks che, seppur apparentemente normale, è riuscita - anche grazie al grande gioco di luci e di inquadrature - a suscitare inquietudine più di quanto avrebbe fatto una villa infestata da fantasmi.
Le infinite strade buie di Lost Highway, le curve sinuose di Mulholland, persino i corridoi industriali desolati di Eraserhead superano l'idea di collegamenti tra luoghi, trasformandosi in spazi di mezzo studiati a pennello per mettere in dubbio anche la realtà più certa.
Dall'insieme al dettaglio, con grande cura negli spazi di transizione come i corridoi, o le strade che sembrava non portare da nessuna parte e ovunque allo stesso tempo, la grandezza della mente di Lynch regista fu probabilmente quella di capire che la cosa più spaventosa di qualsiasi edificio non è la stanza in cui ci si trova, ma il corridoio che conduce alla stanza non ancora visibile.
Qualunque fosse l'ispirazione, Lynch la rendeva sua, la metabolizzava e la elaborava attraverso la sua ottica tipicamente americana, riuscendo a creare qualcosa di completamente nuovo.
Il resto è storia del cinema.
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