«Io tutte le volte ritorno sempre alla citazione di Marguerite Yourcenar nel libro Anna Soror : "Alla lunga qualunque costruttore non edifica che un crollo". Io direi costruzione. Secondo me c'è tanto in questo frammento».

È così che Angelo Lavanga, giovane architetto e designer pugliese con base tra Firenze e Milano, introduce la sua ricerca di sperimentazione materica basata sull'utilizzo del mattone, stravolgendone il significato di simbolo di costruzione, resistenza e durabilità.

Ad emergere, nelle sue opere realizzate in contesti paesaggistici, è la dicotomia tra natura e artificio, la presenza del mattone non è mai neutra, ma un'occasione per riflettere sul concetto di armonia tra uomo e ambiente, così come di spazio e di tempo.

Le sue installazioni evocano una dimensione onirica, utilizzano il pieno per generare il vuoto, un elemento introdotto per far penetrare la luce e dare valore alla mutevolezza delle cose. Un processo che implica al tempo stesso costruzione e decostruzione della realtà, dove la materia è plasmata per generare nuove visioni inaspettate.

«Le mie opere - racconta - nascono come rovine, per come si vedono e per come si montano, rendono massima la trasparenza per la scelta di un laterizio così aperto, dove la parte di vuoto è preponderante rispetto al pieno e le opere contengono già il concetto di effimerità e di tempo che passa».

Ne è un esempio Monte dei Cocci, l'opera immersa nel contesto naturale/artificiale del Valdarno, come spiegato da lui stesso, «realizzata per stare lì finché dura e poi ritornare o andare ad unirsi a quel monte».

Essendo a una scala architettonica, le installazioni entrano in diretta relazione con l'osservatore: la luce che le attraversa genera dinamismo, modificandone la consistenza, da più a meno densa. Le parti trasparenti si notano quando sono controluce, il mattone si smaterializza e il paesaggio si fonde con l'opera. Come in Cinquecento, realizzata nel parco del Nursery Campus di Pistoia, il vivaio più grande d'Europa, dove l'installazione è letteralmente abbracciata dal verde, riflessa in un piccolo specchio d'acqua.

La nuova sfida lo vede impegnato a Milano nel contesto del Fuorisalone, all'interno di Isola Design Festival, con un allestimento site specific - realizzato in collaborazione con Enrico Acquasanta - pensato per ospitare le opere di designer provenienti da tutto il mondo.

foto: © Ivan Rossi

Monte dei cocci

«Nelle città antiche i monumenti delle epoche venivano spesso usati come cave. Ciò che li accomuna è l'attesa di un progetto. Il Monte e l'Architettura hanno la stessa vocazione. Il luogo si fa costruzione».

Nata dall'incontro con Niccolò del Buffa, business development manager dell'azienda SOLAVA, Il monte dei cocci si sviluppa dalla volontà di giocare con la materia e valorizzare i materiali di scarto, non in linea con gli stringenti controlli di qualità.

L'opera si colloca tra due diverse cave di materiali: una è naturale, di argilla; l'altra è di natura umana, costituita da grandi frammenti di materia che si ergono come montagne, svelando scenari in cui la rovina è essa stessa paesaggio.

«Le montagne - spiega Lavanga - si ricompongono idealmente come elementi di nuova costruzione. I principi costruttivi, le memorie, i suoni, le anomalie, dimenticate per anni nel cumulo di materiali, rivivono grazie all'architettura che è in grado di materializzare le immagini di luoghi possibili. Così i resti divengono il dispositivo attraverso cui la cava si rivela come un'opera aperta, non-finita, che vive con la fabbrica e ne re-interpreta i cicli produttivi come "progetto del tempo". La potenzialità infinita della materia non fa più differenza tra luogo e costruzione: è il luogo stesso a farsi costruzione».

L'opera prende dunque forma da una domanda: cosa succede quando si sgretolano i muri e resta solo una finestra?

Assemblando i mattoni in maniera più o meno fitta, il progetto si struttura come fosse una finestra, archetipo del lasciar guardare oltre. Costruzione e decostruzione si mescolano diventando tutt'uno, facendo emergere la questione filosofica sulla relatività della durata, sull'impermanenza di ogni opera umana e sulla sua interazione con l'infinito divenire della natura.

«Il laterizio è il materiale d'elezione necessario, il fatto che sia terra bruciata tendenzialmente, dal punto di vista geometrico e volumetrico che dal punto di vista insediativo, sono cose che per quanto leggere, sono perfettamente fondate a terra, radicate».

foto: © Ivan Rossi

Cinquecento

In Cinquecento, invece, la trasparenza è utilizzata come esplorazione per far entrare in contatto la struttura architettonica con i salici intorno e, proprio come questi ultimi, filtra la luce. Anche qui il tempo ha una grande importanza, declinato in 3 differenti significati.

Non esiste un punto di vista privilegiato, l'osservatore può girarvi intorno per trovare la prospettiva migliore, avvicinandosi e allontanandosi, dedicando tempo all'osservazione per comprenderne l'intera geometria. Vi è poi il tempo della creazione: emerge il tempo della forma, del trasporto e del posizionamento secondo le regole del progetto su carta.

C'è, infine, il tempo dell'esperienza e della sublimazione, dato dagli agenti atmosferici che, con le stagioni, ridurranno in polvere l'opera, lasciandone viva la memoria.

foto: © Ivan Rossi

L'allestimento all'interno di Isola Design Festival 2025

Giunto alla sua IX edizione, l'Isola Design Festival 2025 - ospitato in via dell'Aprica 12 e via Farini, 35 - si intitolerà "Design is Human", e ruoterà attorno a una profonda riflessione sul legame tra persone e design, per evidenziare come le scelte progettuali plasmino le nostre vite, le comunità e l'ambiente.

Il progetto allestitivo di Angelo Lavanga si sviluppa attraverso una serie di dispositivi orizzontali e verticali, pensati per accogliere le opere dei vari designer selezionati dalla manifestazione.

foto: © Ivan Rossi

Le fotografie di Ivan Rossi

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