Dal regolamento sul ripristino della natura lo stop al consumo di suolo per le città

Secondo l'Asvis i nuovi obblighi riguardano il 36% dei comuni italiani, quelli più popolosi

di Mariagrazia Barletta

Introduce una importante inversione di tendenza sul fronte del consumo di suolo la Nature restoration law, ossia il regolamento Ue (1991/2024) entrato in vigore lo scorso agosto per imporre direttamente agli Stati membri - e senza necessità di recepimento (si tratta infatti di un regolamento) - il ripristino degli ecosistemi al fine di garantire il recupero di una natura ricca di biodiversità e contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Si tratta - in estrema sintesi - di recuperare il 20% degli ecosistemi terrestri e marittimi degradati entro il 2030 e di recuperarli tutti entro il 2050.

Una finalità importante e ormai nota, ma quello che si sa meno è che il regolamento impone in modo diretto e immediato un importante limite al consumo di suolo, al quale le città dovrebbero già guardare per farsi trovare preparate e raggiungere gli obiettivi fissati a livello europeo e vincolanti per gli Stati dell'Ue.

Gli Stati devono innanzitutto garantire entro il 2030 che non vi sia alcuna perdita di superficie per gli spazi verdi urbani rispetto al 2024. E, c'è da fare attenzione, perché la definizione di spazi verdi urbani è amplissima, ne fa parte: la superficie totale di alberi, boscaglia, arbusti, vegetazione erbacea permanente, licheni e muschi, stagni e corsi d'acqua presenti nelle città, nelle piccole città e nei sobborghi.

Come messo in evidenza alla Conferenza nazionale dell'INU tenutasi a Roma lo scorso 23 maggio da Giulio Lo Iacono, segretario generale Asvis: «La nature restoration law impone il blocco del consumo di suolo nel 36% dei Comuni italiani che sono anche quelli più popolosi». È questo l'effetto diretto del Regolamento europeo sulle città per quanto riguarda il consumo di suolo.

Queste aree verdi urbane, ossia le zone di ecosistema urbano dovranno essere individuate dagli Stati membri all'interno del Piano nazionale di ripristino che i Paesi Ue, Italia compresa, devono redigere entro il 2026 per quantificare la superficie di habitat che deve essere ripristinata per soddisfare gli obblighi del nuovo regolamento e dovranno comprendere intere città, piccole città e sobborghi o parti di queste, ma comunque vanno sempre compresi almeno i centri urbani e gli agglomerati urbani come definiti dal Regolamento Ce 1039 del 2003. Ed è in questo perimetro che ha effetto l'obbligo di conservazione degli spazi verdi urbani, che interessa come - appunto quantificato da Asvis - il 36% dei comuni italiani, che sono anche quelli più grandi e popolati.

E anche i sistemi agricoli sono interessati da questa rivoluzione perché il regolamento ne prevede comunque il rispristino e dunque non sarebbe possibile anche per essi impermeabilizzarli per realizzare nuove costruzioni.

E lo stesso ragionamento vale per la "copertura della volta arborea urbana", la cui superficie non potrà essere "aggredita". In questo caso, si fa riferimento alla superficie totale di copertura arborea nelle città, che, fino al 2030, dovrà rimanere tale, o meglio, non potrà diminuire.

Dal 2031 sia le zone di ecosistema urbano che la copertura della volta arborea urbana dovranno poi aumentare di anno in anno. Tra l'altro, il regolamento prevede che siano piantati 3 miliardi di nuovi alberi entro il 2030 in tutta l'Ue.

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