La demo-ricostruzione è nuova costruzione se non c'è continuità con l'edificio precedente

La sentenza del Tar Lombardia analizza il confine tra ristrutturazione e nuova costruzione nell'ambito della demolizione e ricostruzione

di Mariagrazia Barletta

Solo se ci sono elementi di continuità tra l'edificio da demolire e quello da costruire si resta nel perimetro della ristrutturazione edilizia. In caso contrario, la demo-ricostruzione va considerata come nuova costruzione e occorre presentare il permesso di costruire. Questa interpretazione, consolidatasi nella giurisprudenza prima dell'entrata in vigore del Dl 76 del 2020 con cui sono state allargate le maglie della definizione di ristrutturazione edilizia, vale ancora oggi e la valutazione sulla sussistenza o meno della continuità tra vecchio e nuovo è espressione della discrezionalità tecnica del Comune e può essere sindacata dal giudice amministrativo solo nel caso di evidenti errori di fatto e/o di manifesta irragionevolezza.

Dice questo - in sintesi - la sentenza 2757 del 23 luglio del Tar Lombardia con cui è stato analizzato il ricorso di una società proprietaria di un immobile a Milano cui era stata dichiarata l'inefficacia della Scia alternativa al permesso di costruire con la quale si intendeva procedere alla demolizione di un fabbricato di due piani fuori terra, costituito da un appartamento ed un'autorimessa, e sostituzione con un edificio di cinque piani fuori terra e uno interrato con otto alloggi e sette posti auto. L'intervento è stato ritenuto dalla società rientrante nel novero della ristrutturazione edilizia; secondo il Comune si tratta invece di nuova costruzione.

Tra le motivazioni evidenziate dalla società ricorrente vi è la presunta violazione dell'art. 3, primo comma, lett. d), del testo unico dell'Edilizia, «il quale, a differenza di quanto ritenuto dal Comune, nella formulazione vigente a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 10 del d.l. n. 76 del 2020, fornirebbe una definizione molto ampia di ristrutturazione edilizia che ricomprenderebbe anche le ipotesi di demolizione e ricostruzione di altro edificio avente caratteristiche del tutto diverse da quelle proprie dell'immobile demolito». 

L'art. 10 del decreto legge n. 76 del 2020 ha modificato il terzo e il quarto periodo dell'art. 3, lett. d), del Dpr 380 del 2001 stabilendo che «nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche [...]. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza».

«Questa norma - scrivono i giudici - ha specificato che rientrano nell'ambito concettuale della ristrutturazione edilizia anche quegli interventi che comportano la realizzazione di un edificio diverso, rispetto a quello demolito, per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche».

Tuttavia, secondo un orientamento giurisprudenziale formatosi prima dell'entrata in vigore del Dl 76 del 2020, «sebbene nelle ipotesi di demolizione e ricostruzione non sia necessario il rispetto del vincolo della sagoma, si fuoriesce dall'ambito della ristrutturazione edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non presenta più alcuna correlazione con l'edificazione precedente».

«Questo orientamento - afferma il Tar - è stato confermato dalla Cassazione penale anche a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 10 del d.l. n. 76 del 2020. Secondo, infatti, Corte di Cassazione l'intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversità tra la struttura originaria e quella frutto di "ristrutturazione", non può prescindere dal conservare traccia dell'immobile preesistente».

Per qualificare l'intervento oggetto della Scia, il Comune di Milano ha quindi - si legge nella sentenza - «dovuto procedere alla valutazione riguardo alla sussistenza/assenza di elementi di continuità fra immobile da demolire e immobile da realizzare. Questa valutazione - affermano ancora i giudici amministrativi - costituisce tipica espressione di discrezionalità tecnica la quale, come noto, può essere sindacata dal giudice amministrativo solo nel caso di evidenti errori di fatto e/o di manifesta irragionevolezza».

Nel caso esaminato, il Tar ha ritenuto «non irragionevole escludere la sussistenza di elementi di continuità quando, come nel caso di specie, un edificio a due piani, di cui uno solo adibito a residenza, viene sostituito da una palazzina di cinque piani fuori terra, oltre il piano interrato, composta da otto appartamenti che, all'evidenza, produce un carico urbanistico ampiamente superiore e, perciò, molto diverso da quello prodotto dall'edificazione precedente».

Non hanno dubbi i giudici che l'intervento realizzato dal ricorrente andava classificato come nuova costruzione.

Tar Lombardia, sentenza 2757 del 23 luglio 2025

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