Superbonus, non si perde il beneficio se i lavori indicati nella Cilas non "toccano" gli abusi

La sentenza del Consiglio di Stato che supera il precedente orientamento della giurisprudenza

di Mariagrazia Barletta

Eventuali difformità dai titoli edilizi non precludono la spettanza del superbonus se le porzioni del fabbricato risultate irregolari non sono interessate dai lavori agevolati dalla maxi-detrazione. A dirlo - superando la precedente giurisprudenza - è un'importante e recentissima sentenza del Consiglio di Stato (n. 8959 del 2025), che così interpreta il comma 13-ter dell'articolo 119 della legge che ha introdotto il superbonus (Dl 34 del 2020). Il riferimento è alle disposizioni - nate con l'intento di sbloccare la detrazione al 110% quando, ancora neonata, stentava a decollare - che hanno svincolato la Cilas dall'attestazione dello stato legittimo.

Dunque - si legge nella pronuncia - la Cilas è un procedimento strutturalmente e funzionalmente autonomo rispetto a quello dell'accertamento sulla legittimità edilizia e questo «induce ad escludere che eventuali irregolarità riferite a parti dell'immobile non interessate dalla Cila possano precludere la spettanza del beneficio». Nel caso analizzato le presunte irregolarità si concentravano nel piano seminterrato, il quale era del tutto estraneo agli interventi incentivabili di efficientamento energetico, riduzione del rischio sismico e abbattimento delle barriere architettoniche che, invece, si concentravano ai piani superiori residenziali.

Ne deriva quindi - affermano i giudici del Consiglio di Stato -, che il principio di «unitarietà dell'organismo edilizio» chiamato in causa dal Tar (la cui sentenza viene ribaltata nel secondo grado), «non può essere spinto sino a negare l'autonomia funzionale e oggettiva dei lavori che non incidono sulle porzioni oggetto delle difformità contestate».

La sentenza analizza il caso di un comune campano che aveva dichiarato l'improcedibilità della Cila superbonus relativa ai lavori che un condominio intendeva eseguire beneficiando della maxi-detrazione, in quanto - secondo l'amministrazione - il fabbricato presentava alcune irregolarità, concentrate al piano interrato dove i tecnici del comune avevano riscontrato divergenze tra lo stato di fatto e la concessione del 1996, consistenti principalmente in un aumento del numero dei box auto.

Il Comune, però, non aveva preso in considerazione una Dia in variante che, invece, aveva previsto l'aumento del numero dei garage. La planimetria, aggiornata alla variante del 2000, non era stata inizialmente allegata all'istanza di Cila, ma - sottolinea il Consiglio di Stato - il Comune avrebbe dovuto aprire un soccorso istruttorio, chiedendo integrazioni. In definitiva, l'amministrazione aveva «fondato le sue conclusioni su un quadro incompleto e tecnicamente fuorviante». Tra l'altro, il Comune - insistono i giudici - non avrebbe potuto ignorare l'esistenza della variante, «trattandosi di un atto protocollato e conservato nei fascicoli edilizi relativi al complesso immobiliare».

L'amministrazione viene invitata a riesaminare il procedimento alla luce della Dia del 2000 e dell'orientamento relativo alla relazione tra la Cilas e la verifica dello stato legittimo esplicitata nella sentenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

pubblicato il: