SHELLter - modulo abitativo autocostruito

risultati workshop e nuova iniziativa

SHELLter, un edificio autocostruito da studenti e semplici cittadini impiegando materiali naturali quali legno, aste vegetali e terra cruda è l'idea di un gruppo di progettisti dell'Università di Roma Tre coordinato dall'architetto Stefan Pollak del Dipartimento di Progettazione e Studio dell'Architettura (DiPSA), direttore Prof. arch. Andrea Vidotto.

Il sistema, derivato da alcune tecniche costruttive concepite in Perù e pensate per le zone altamente sismiche della costa pacifica e degli altopiani andini si presta ad un impiego anche nei comuni colpiti dal recente terremoto abruzzese dell'aprile scorso.

Al fine di verificare l'effettiva fattibilità di una tale ipotesi e per promuovere la conoscenza di sistemi costruttivi ecosostenibili, i progettisti dell'Università hanno promosso dal 22 al 26 giugno 2009 un workshop didattico-sperimentale nella località abruzzese di Roccamontepiano (CH).

Quasi venti tra studenti di architettura, professionisti e cittadini interessati hanno contribuito in cinque giorni alla messa in opera di un primo prototipo del sistema costruttivo. Insieme ad alcune scelte costruttive, opportunamente reinterpretate, dal Perù è stata importata soprattutto la filosofia del low-tech, ossia quella di incentrare la costruzione su materiali localmente disponibili, mantenere semplici le singole operazioni d'assemblaggio al fine di poter contare sul contributo operativo di persone non esperte e di valorizzare il tutto tramite un'attenta progettazione ed una diretta sperimentazione sul campo.

Per le pareti verticali del manufatto sono stati intrecciati una trentina di telai di "quincha", quest'il nome che prendono in America Latina le strutture di canne intessute su supporti lignei. Esattamente come sulle Ande, i pannelli fornivano il supporto per l'applicazione di terra cruda opportunamente impastata con sabbia e fibre vegetali.

Rispetto alla soluzione peruviana, la parete è stata raddoppiata in modo da accogliere fra i due pannelli uno strato isolante. Complessivamente ne nasce una parete spessa 25cm con una struttura leggera (a dispetto dell'apparenza di un pesante muro) e con un buon comportamento termico. Dati precisi sulle prestazioni
climatiche saranno disponibili in seguito ad una campagna di misurazione che il DiPSA intende svolgere durante l'autunno prossimo sui componenti del prototipo realizzato.

La sfida sperimentale maggiore era data dalla realizzazione del sistema di copertura. Si è deciso di utilizzare il sistema Domocaña sviluppato dall'ingegnere peruviana Raquel Barrionuevo dell'Universidad Nacional de Ingegniería di Lima, accettando alcune complicazioni aggiuntive. Oltre ad un lieve aumento delle luci strutturali (da 2,40m a 3,00m) si è deciso di lavorare con canne vegetali nostrane al posto del più resistente bambù sudamericano. Il nostro Arundo donax, questo il nome botanico, è molto diffuso nelle zone umide di tutta l'Italia centrale. Oltre ad essere disponibile quasi a costo zero, non richiede lunghi trasporti, con ovvi vantaggi per l'ambiente.

La paziente messa in opera secondo una forma a guscio ha conferito alla struttura una resistenza ritenuta sorprendente anche da molti dei partecipanti al workshop prima di poterla toccare con mano. Analogamente alle pareti, anche la copertura è stata sdoppiata per permettere l'isolamento e la ventilazione del tetto, un'altra delle innovazioni introdotte rispetto al modello peruviano.

Il successo dell'iniziativa ha incoraggiato i promotori a lanciarne subito una seguente: un workshop didattico-sperimentale incentrato sugli strati di finitura. In collaborazione con esperti del campo, studenti ed altri interessati avranno modo di sperimentare diverse tecniche di finitura in terra, calce e materiali affini. Ovviamente sarà il manufatto appena realizzato a fornire il supporto per questa ulteriore sperimentazione collettiva all'insegna di un modo di costruire economico, ecologico e socialmente sostenibile.

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