Divieto per le società a capitale interamente pubblico o misto di concorrere ad appalti banditi da amministrazioni diverse

Una società partecipata da una società che è a sua volta indirettamente partecipata da Enti locali non può concorrere, ai sensi dell’art. 13, comma 1 della legge n. 248/2006, agli appalti banditi da amministrazioni diverse da quelle che ne detengono il capitale.

L’autorità risponde ad un istanza su una controversia insorta in sede di aggiudicazione di un servizio in relazione all’ammissibilità alla gara di una società il cui capitale sociale è detenuto da un’altra società mista a capitale pubblico.

Viene chiesto all’Autorità se, ai sensi dell’ art. 13 della legge 248/2006, la medesima società può partecipare agli appalti banditi da amministrazioni diverse da quelle che ne detengono il capitale.

Occorre evidenziare che l’art. 13, comma 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248 e s.m. prevede che le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti, in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti.

La previsione di cui al citato art. 13, comma 1, pone dunque il tassativo divieto per le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti, di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara.

Poiché l’art.13 espressamente esclude dalla propria disciplina i servizi pubblici locali, la materia dallo stesso disciplinata attiene a quella attività espletata delle società miste/pubbliche che svolgono in outsourcing attività di pertinenza delle amministrazioni locali.

La norma in esame pertanto vieta l’attività extra moenia di dette società, al fine di porre un freno all’incidenza che la loro composizione può comportare sull’assetto del mercato, in difesa del principio della libera concorrenzialità.

Infatti detti soggetti godono di asimmetrie informative di notevoli dimensioni, in grado di alterare la par condicio con gli altri operatori agenti nello stesso mercato e di eludere sostanzialmente il rischio d’impresa.

Né può considerarsi rilevante la circostanza che la partecipazione dell’ente locale alla società sia meramente indiretta, come nel caso di specie.

Infatti, ammettere che i vincoli posti dalla norma speciale riguardino esclusivamente le partecipazioni dirette degli enti pubblici alle società di cui trattasi varrebbe a sostenere che i vincoli stessi possano agevolmente essere aggirati mediante meccanismi di partecipazioni societarie mediate.

Al contrario, anche nelle società c.d. di terzo grado, come nel caso in esame, individuandosi con detta definizione quelle società che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche e non sono state costituite per soddisfare esigenze strumentali alle amministrazioni pubbliche medesime, rimane pur sempre il rilievo che l’assunzione del rischio avviene con una quota di capitale pubblico, con ciò ponendo in essere meccanismi potenzialmente in contrasto con il principio della par condicio dei concorrenti.

L’interpretazione anzidetta trova ulteriore e indiretta conferma nel comma 3 del medesimo art.13 suindicato, laddove il legislatore ha previsto un regime transitorio durante il quale le società pubbliche o miste dovranno dimettere in particolare le loro partecipazioni in altre società.

Deliberazione 9 maggio 2007 n. 135
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pubblicato in data: 31/08/2007

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