Costruire mondi virtuali: l’architettura è un gioco… da professionisti

intervista ad Ernest W. Adams

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Ernest W. Adams Laureato in Filosofia alla Stanford University, fin dai primi anni ’90 lavora nell’industria dell’intrattenimento interattivo. Dal 1994 al 1997 è fondatore e poi presidente della International Game Developers’ Association.

Presso la Electronic Arts (EA) riveste il ruolo di programmatore (1992), designer e produttore (1992-99) e capo-progetto (1999-2000), partecipando alla creazione di numerosi videogiochi di successo.

Attualmente, all’attività di saggista e autore di testi (Fundamentals of Game Design (with Andrew Rollings), Prentice Hall, settembre 2006; Andrew Rollings and Ernest Adams: On Game Design, maggio 2003; Break into the Game Industry: How to Get a Job Making Video Games, McGraw-Hill, maggio 2003), affianca l’impegno di consulente nella progettazione e produzione di giochi per società quali Ubisoft, THQ, Elixir Studios, sia come indipendente sia in qualità di membro del consorzio International Hobo

 

I programmatori possono soffiare il ruolo di progettisti agli architetti? Nel mondo dei videogame il rischio c’è: ha quindi senso chiedersi se la realtà virtuale – specialmente quella “fantastica” dei giochi – possa favorire una fusione di ruoli, considerando che il software 3D fornisce anche ai non specialisti gli strumenti per inventare nuovi spazi. Ascoltiamo in proposito il parere di Ernest W. Adams, sviluppatore esperto e saggista. Il suo punto di vista “dall’esterno” ci consente di focalizzare meglio l’attitudine degli architetti all’immaginazione e di capire quali luoghi virtuali “hanno ancora bisogno del talento di chi sa progettare edifici”.

 

Intervista

Nel suo articolo “The Role of Architecture in Video Games” (9 ottobre 2002) lei individua per l’architettura, che considera compatibile con le semplificazioni geometriche della grafica digitale 3d, due funzioni: una principale, il supporto al gioco, esplicata attraverso la possibilità di usare gli elementi architettonici per delimitare spazi, nascondere oggetti e/o insidie, costituire ostacoli e stimolare prove di abilità; un’altra secondaria, o meglio “accessoria”, ovvero quella di informare e intrattenere, mediante la ricostruzione di contesti verosimili, la formulazione di nuovi mondi, l’introduzione di elementi surreali o comici, oppure la citazione di opere famose e di “clichè” costruttivi.

1. Portando alle estreme conseguenze il suo ragionamento, si potrebbe affermare che lo spazio architettonico è più facilmente traducibile nella realtà virtuale – rispetto a componenti dell’ambiente naturale quali piante, corsi d’acqua, terreni – perché è esso stesso una forma di simulazione 3d?

La ragione principale per cui la trasposizione degli spazi architettonici nella realtà virtuale risulta più agevole, rispetto alla restituzione digitale della natura, è squisitamente tecnica: gli ambienti naturali tendono a comprendere un gran numero di oggetti unici (le foglie di un albero, le pietre su un pendio), laddove gli ambienti architettonici sono più ordinati e incorporano oggetti più semplici con linee dritte e curve lisce. La loro rappresentazione nella realtà virtuale è – al momento – più credibile per lo spettatore. Da un punto di vista più filosofico, gli spazi dell’architettura e quelli della realtà virtuale sono entrambi costruiti dalla mente dell’uomo: di conseguenza, i processi per elaborarli sono analoghi, anche se la realtà virtuale non subisce le costrizioni imposte dai costi e dai limiti fisici. Gli spazi naturali, d’altra parte, sono il risultato di processi che non siamo in grado di comprendere fino in fondo. Nessuno può riuscire a spiegare perché una certa foresta si sia sviluppata in un determinato modo. La descrizione di una foresta attraverso la grafica 3D è ancora necessariamente uno spazio creato dall’uomo – arte dei giardini, più che vera evoluzione: anche se viene prodotta attraverso algoritmi generati dal software e presenta una notevole caratterizzazione, rimarrà ancora soltanto un’immagine superficiale dei processi naturali da cui è generata una foresta vera.

Forse un giorno comprenderemo i meccanismi della natura così bene da poterli riprodurre attraverso modelli basati su calcoli, ma per adesso – come dicevo prima – la rappresentazione virtuale della natura mantiene un carattere fittizio.

2. Ritiene che gli architetti siano naturalmente predisposti a lavorare nel campo dei videogame e di tutte le applicazioni che attraverso la metafora tridimensionale definiscono spazi per attività ludiche, contatti interpersonali, interazioni didattiche?

Per la maggior parte della loro storia gli architetti di sono concentrati sulla costruzione di edifici e spazi simili nel mondo reale, e la loro preparazione è stata dedicata principalmente a questo scopo. Più recentemente, tuttavia, la preparazione e la ricerca in campo architettonico hanno iniziato a considerare lo spazio costruito come un’astrazione indipendente dei meccanismi reali della costruzione. Questo approccio consente agli architetti di lavorare nei videogame e in altri ambienti virtuali, oppure nel mondo reale, con uguale facilità. Nella realtà virtuale gli spazi organizzano le attività dell’uomo secondo criteri simili a quelli degli spazi reali: un negozio, una banca, l’ambulatorio del medico, lo stadio, una sala conferenze, e così via, svolgono nel gioco la stessa funzione che hanno nel mondo reale, e presentano molti degli stessi vincoli (uno stadio deve offrire una buona visuale sui lanci ad ognuno degli spettatori seduti). In breve, la preparazione degli architetti di rivela utile in entrambi i luoghi, e sono convinto che essi abbiano un ruolo importante nella progettazione di videogiochi e altri spazi virtuali.

3. Nel contesto reale l’attività di immaginare e definire nuove città e nuovi edifici in cui ambientare le funzioni connesse alla vita quotidiana è affidata a professionisti esperti, o dotati di appositi titoli di merito, per ragioni di sicurezza, legalità, decoro, funzionalità. Un mondo virtuale come Second Life rappresenta l’inizio per un nuovo modo di fare architettura nella dimensione digitale, o viceversa segna la fine dell’idea che il progetto dello spazio debba essere attività “esclusiva” dell’architetto?

Indubbiamente, gran parte della formazione degli architetti è dedicata a problematiche che non riguardano gli ambienti virtuali: la resistenza e la durata dei materiali, le valutazioni sulla sicurezza antincendio e sulla vivibilità (aria condizionata, igiene, etc.). Poiché nella realtà virtuale questi aspetti sono irrilevanti, è più facile per i non professionisti sviluppare questo tipo di spazi. Comunque, personalmente sono convinto che ai non professionisti manchi l’esperienza degli architetti che hanno seguito uno specifico percorso formativo nella considerazione dei parametri estetici e psicologici degli spazi costruiti. Gli architetti imparano a valutare questioni come i flussi di traffico, le sensazioni di claustrofobia o agorafobia, la confusione visiva, la qualità dell’illuminazione, e altri aspetti che i non professionisti potrebbero tralasciare. Credo quindi che i mondi virtuali come Second Life offrano nuove opportunità per gli architetti: i commercianti che vogliono che il proprio spazio rifletta il talento creativo di un architetto professionista saranno felici di ingaggiarli. Se volessi un edificio funzionale e gradevole esteticamente, preferirei vederlo progettato da un architetto, piuttosto che da un dilettante.

4. Sopravvivono delle motivazioni per cui anche nella realtà virtuale è bene che siano i “professionisti dello spazio” a costruire le simulazioni 3d e non i semplici utenti dei videogiochi o i navigatori del web?

Sì, certamente – vedi sopra.

5. Secondo lei le metafore digitali di ambienti quali supermercati, librerie o uffici potranno diventare la versione evoluta dei siti web che attualmente consentono il commercio elettronico o il pagamento a distanza? E in quel caso il programmatore potrà prescindere dall’architetto?

Non ritengo che l’e-commerce possa trarre benefici da un metafora dello spazio fisico. Proprio perché fare acquisti in un vero negozio è diverso da farli online, non credo che gli acquirenti via Internet vogliano davvero riprodurre l’esperienza realistica. In un negozio del mondo reale gli articoli possono essere organizzati in un unico modo, e il processo di spostamento per muoversi da un punto all’altro di un negozio richiede l’impiego di tempo. Ormai siamo abituati alla risposta istantanea di meccanismi specifici, come le ricerche su Amazon: imporre la metafora della “passeggiata” all’interno di un negozio online risulterebbe semplicemente frustrante. Un’altra caratteristica degli acquisti in rete è la possibilità di scegliere diversi articoli e generare subito una tabella automatica che confronti le loro caratteristiche – di nuovo, la metafora architettonica non consente questo: anche se lo consentisse, dovrebbe naturalmente abbandonare lo spazio fisico per visualizzare la tabella. Tuttavia, ci sono luoghi di altro genere, come ad esempio i giochi di ruolo online che coinvolgono un gran numero di giocatori contemporaneamente, in cui la riproduzione dello spazio fisico di un negozio o di una banca è auspicabile perché si trova in un ambiente di fantasia. In un contesto del genere l’aspetto realistico di un luogo è una parte importante del divertimento. Quando compro una spada in un fantasy medievale, voglio che a vendermela sia una fucina di maniscalco e non un sito di commercio elettronico. Una biblioteca piena di libri in un gioco dovrebbe assomigliare a una vera biblioteca e non ad Amazon. La metafora dell’e-commerce sul web non si adatta agli ambienti fantastici. Quei luoghi hanno ancora bisogno del talento di chi sa progettare edifici.

 

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