Nuovo codice Appalti, l'Anac chiede 37 modifiche, 4 i punti più critici

di Mariagrazia Barletta

L'Anac critica non solo rispetto all'ampliamento del perimetro di affidamenti diretti e procedure negoziate, ma anche rispetto all'eliminazione di ogni margine di discrezionalità della stazione appaltante che, nel sotto soglia e al netto di un'unica eccezione, non può preferire le procedure ordinarie agli affidamenti diretti e alle procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando. Se unite al depotenziamento del conflitto di interesse, queste previsioni - secondo l'Authority - aprono a prospettive critiche, destinate a favorire gli operatori conosciuti e non quelli più efficienti. Da circoscrive il perimetro degli appalti integrati e degli accordi quadro.

L'Autorità anticorruzione chiede 37 correzioni allo schema di Codice degli Appalti e li riassume in un documento elaborato nell'intento di offrire un utile contributo alle valutazioni che le competenti Commissioni parlamentari sono chiamate ad esprimere entro il 21 febbraio. Data fissata dopo la proroga accordata dal Governo e arrivata lo scorso 2 febbraio per bocca del viceministro Edoardo Rixi intervenuto in Commissione Ambiente alla Camera. Dei 37 punti, quattro sono ritenuti di particolare rilievo.

Il documento con le 37 osservazioni dell'Anac

No all'innalzamento delle soglie per affidamenti diretti e con procedura negoziata senza bando

Uno dei principali punti critici rilevati dall'Anac risiede nell'innalzamento delle soglie per l'affidamento diretto e le procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando. Per importi inferiori alle soglie comunitarie, e al netto di un'unica eccezione, le stazioni appaltanti, infatti, non hanno alcun margine di discrezionalità entro cui muoversi, ossia non hanno alcuna possibilità di prediligere le procedure ordinarie agli affidamenti diretti o alle procedure ordinarie, afferma l'Anac. 

Il nuovo Codice prevede affidamenti diretti per lavori di importo inferiore a 150mila euro, possibili anche senza consultare più operatori economici. Tale soglia, per i servizi e le forniture, compresi i servizi di architettura e ingegneria, viene portata a 140mila euro e, anche in questo caso, non è necessario consultare più operatori. Si prevede, dunque, di rendere a scadenza illimitata le deroghe al Codice che erano state stabilite dal cosiddetto Dl Semplificazioni, ossia dal Dl 76 del 2020. In più occasioni, l'Anac ha manifestato la sua contrarietà all'innalzamento delle soglie che esentano le stazioni appaltanti dal confronto con la concorrenza.

«Con riferimento agli affidamenti diretti di servizi e forniture, bisogna evidenziare come la soglia di 140mila euro sia idonea ad assorbire la maggior parte degli acquisiti posti in essere soprattutto dai piccoli comuni, che potranno verosimilmente programmare più affidamenti sotto la predetta soglia, per la maggior parte dei propri acquisti, senza dunque dover ricorrere - se non in casi residuali - a procedure di evidenza pubblica», sottolinea l'Anac. «Questa Autorità - viene ribadito nel documento - ha avuto modo, nell'ambito della propria esperienza di vigilanza, di constatare l'inefficienza di affidamenti diretti eseguiti senza il minimo confronto concorrenziale, ciò che nelle piccole realtà spesso significa l'affidamento a ditte conosciute, non sempre le più efficienti».

E, con l'allentamento delle disposizioni sul conflitto di interesse (si veda il paragrafo successivo), privilegiare i "soliti noti" sarà più facile. «Questa prospettiva (ossia la riduzione del confronto concorrenziale, nda) - evidenzia ancora l'Anac - è destinata a peggiorare nel caso in cui divenissero definitive le modifiche alla disciplina sul conflitto di interesse, sopra evidenziate, che "sollevano" la stazione appaltante dalla predisposizione di serie misure di prevenzione del conflitto d'interessi, facendo ricadere sugli eventuali interessati l'onere di dimostrarne la sussistenza».

Non solo: al di sotto della soglia comunitaria, il nuovo Codice consente la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie solo per lavori di importo superiore a 1 milione di euro. Negli altri casi la stazione appaltane non può scegliere la procedura ordinaria, ma, a seconda degli importi, deve procedere per affidamento diretto o seguire la procedura negoziata senza pubblicazione del bando. Anche questo è per l'Anac un punto estremamente critico: «Si ritiene - scrive - che, in applicazione del principio di auto-organizzazione amministrativa (esplicitato dall'articolo 7 dello schema di codice), alla stazione appaltante, nell'esercizio della sua discrezionalità, debba essere sempre consentito di ricorrere alle procedure ordinarie anche sotto soglia, qualora le caratteristiche del mercato di riferimento inducano a ritenere preferibile un ampio confronto concorrenziale e che sia, pertanto, opportuno prevedere la possibilità generalizzata di indire una procedura ordinaria (es. aperta) in luogo della procedura negoziata, qualora tale soluzione appaia la più idonea a soddisfare le esigenze dell'amministrazione».

Il conflitto di interesse non va depotenziato

Secondo l'Anac, rispetto al Dlgs 50 del 2016, il nuovo Codice depotenzia la disciplina sul conflitto di interessi e nel farlo va anche in contrasto con le direttive europee. Il riferimento è alle misure che tentano di scongiurare la possibilità che il personale della stazione appaltante e i prestatori di servizi che operano per suo conto possano avere un ruolo in procedure di affidamento per le quali hanno un interesse personali, economico, finanziario, diretto o indiretto.

In sintesi, il nuovo Codice, restringe l'ambito applicativo del conflitto di interessi, rileva l'Anac, e, in più, introduce «una sorta di "inversione dell'onere della prova" che non ha precedenti a livello comunitario», e che è in contrasto anche con quanto affermato dalla Corte di Giustizia.

In pratica, secondo lo schema di Dlgs, l'onere della prova ricade su chi invoca il conflitto di interessi. Più nel dettaglio - secondo il nuovo Codice - «la percepita minaccia all'imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all'altro».

Ma ciò sarebbe contrario a quanto affermato dalla Corte di Giustizia in una sentenza del 2015 (del 12 marzo, causa C538/13), secondo cui nel caso in cui venga messa in dubbio l'imparzialità di un ausiliario dell'amministrazione aggiudicatrice, spetta poi a quest'ultima ogni ulteriore verifica sul punto, anche in funzione dell'eventuale prova contraria da fornire in sede processuale. Dunque la Corte assegna l'onere della verifica dell'esistenza di eventuali conflitti di interesse alla specifica ed esclusiva competenza dell'amministrazione.

Infine, lo schema di Dlgs elimina il riferimento ad una specifica previsione delle direttive eurounitarie, che pone in capo alle stazioni appalti l'onere di attivarsi al fine di prevenire i conflitti. Anche questo è ovviamente un punto critico, messo in rilevo dall'Anac.

Negativo l'innalzamento della soglia per la qualificazione delle stazioni appaltanti

Il nuovo Codice prevede l'innalzamento da 150mila e 500mila euro dell'importo dei lavori oltre il quale scatta l'obbligo di qualificazione per le stazioni appaltanti. Tale disposizione - stima l'Anac - sottrae dall'obbligo di qualificazione una fetta importante degli enti aggiudicatori. «Secondo le stime effettuate sui dati relativi al quinquennio 2017-2021, l'innalzamento della soglia di qualificazione per i lavori da 150mila euro a 500mila euro comporterebbe una riduzione del numero di gare eseguite da enti qualificati di circa il 65% corrispondente ad una diminuzione di circa il 45% del numero di amministrazioni aggiudicatrici qualificate».

La proposta è dunque quella di mantenere la soglia vigente di 150mila euro.

Ripristino dell'elenco di amministrazioni che si servono dell'affidamento diretto nei confronti delle proprie società in house

Altro punto critico riguarda il ripristino dell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. Più nel dettaglio, lo schema di Dlgs prevede che le pubbliche amministrazioni, per l'esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi, possano anche ricorrere all'affidamento diretto a società cosiddette in house. Questa disposizione, scrive l'Anac, è ammessa dalla normativa eurounitaria, che, però, ne ha disegnato i confini al fine di evitare una distorsione della concorrenza. E, in ottemperanza a ciò, il Codice attualmente in vigore prevede un elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, gestito da Anac. Elenco che, invece, il nuovo Codice non contempla.

Eppure - rimarca l'Authority - «la presentazione della domanda da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e la relativa iscrizione nel suddetto elenco presenta l'evidente vantaggio di verificare a priori la sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa eurounitaria per l'affidamento diretto, senza in alcun modo interferire rispetto alla decisione dell'ente di procedere con tale affidamento».

«In oltre 5 anni di gestione dell'elenco - si legge nel documento -, Anac ha potuto constatare che, in circa i due terzi dei casi trattati, i requisiti dell'in house erano carenti e i soggetti esaminati erano spesso sostanzialmente equiparabili ad imprese liberamente operanti nel mercato, che godevano di affidamenti diretti di contratti pubblici, ottenuti senza gara, in assenza dei necessari presupposti».

In tutto 37 richieste di correzione

Alle 4 principali criticità, l'Anac ne aggiunge altre 33. Tra queste vi è la previsione di consentire sempre le varianti in corso d'opera non sostanziali, a prescindere dal loro valore, che, combinata alla non obbligatorietà del documento di fattibilità delle alternative progettuali per opere sotto soglia, potrebbe determinare «incrementi di costo in corso d'opera per varianti».

Troppo generici, inoltre, i presupposti che legittimano la stazione appaltante a ricorrere all'appalto integrato. «Una tale generica e indefinita formulazione può evidentemente comportare il rischio di un uso improprio dell'istituto per cui sarebbe opportuno definire con maggiore dettaglio le condizioni di ricorso allo stesso, eventualmente guardando alla formulazione della vigente norma del codice che potrebbe, in parte, essere confermata», suggerisce l'Autorità guidata da Giuseppe Busia.

Criticità anche sull'enunciazione del principio di rotazione degli appalti, che «non dispone l'applicazione della rotazione nei confronti degli operatori economici invitati e non affidatari del precedente contratto».

Quanto agli accordi quadro, secondo l'Anac, bisognerebbe circoscriverne le possibilità di utilizzo. «Al riguardo, considerate le numerose criticità rilevate in sede di vigilanza sull'applicazione dei contratti quadro - sia per nuove opere che per appalti di servizi di natura intellettuale e servizi tecnici di progettazione - sarebbe utile - si legge sempre nel documento elaborato dall'Authority - circoscrivere i limiti di applicazione dell'istituto, chiarendo che le prestazioni oggetto di tali lavori e servizi devono essere riconducibili ad elementi standardizzabili e ripetibili, per i quali le stazioni appaltanti non possono predeterminare con certezza il se, il quando e il quantum delle prestazioni».

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