Con il concorso del Museo della Scienza, Roma promette di aprire un nuovo capitolo che mette al centro la ricerca e la cultura, dove il museo diventa luogo di incontro quotidiano per cittadini e studiosi, ma anche di svago e di scoperta.

Del progetto si è già parlato tanto, ma chi si nasconde dietro allo studio, nato appena l'anno scorso, che ha conquistato la vetta della graduatoria di uno dei concorsi più attesi dell'anno, superando non solo gli altri quattro finalisti romani ben più noti, ma anche nomi internazionali del calibro di SANAA, Bjarke Ingels o Snøhetta?

E quali sono stati davvero gli elementi vincenti di questa idea che mette insieme capsule come luogo della nuova conoscenza, l'edificio storico ristrutturato e il grande parco naturale pubblico?

Andrea Debilio e Antonio Atripaldi, i due fondatori di ADAT studio, si definiscono "romani di ritorno" con un background di esperienze passate tutte legate alla tecnologia dell'architettura da diverse angolazioni storiche e geografiche: Andrea da Foster+Partners prima, e da Grimshaw Architects poi; Antonio come partner di Carlo Ratti Associati.

E il nome parla chiaro: oltre a nascondere alcune lettere dei loro nomi, cela nel suo esprimersi anche la filosofia che ha portato al loro incontro professionale: adat come adattamento, adaptation, la capacità di mutare e assecondare le nuove esigenze che si presentano nel corso del tempo.

«Il concetto di adaptation è molto importante per noi, un tema che stiamo cercando di investigare, soprattutto sotto l'aspetto delle relazioni che intercorrono tra uomo natura e tecnologia. Una ricerca aperta che abbiamo cercato di portare anche all'interno del progetto del Museo della Scienza» - spiegano - «La chiave che probabilmente ha portato a questo successo è proprio il nostro essere complementari (da un lato Antonio con la visione più a scala urbana, dall'altra Andrea, legato più all'industrial design, ndr). Tutte le nostre collaborazioni hanno un minimo comune denominatore: la tecnologia applicata all'architettura. Quello che stiamo cercando di fare è portare avanti una ricerca, già molto dibattuta, capace di portare la tecnologia nel binomio uomo-natura».

«L'approccio progettuale - raccontano - è stato quasi da utenti, guardando il lotto delle ex caserme dalla caffetteria del MAXXI. Lo spazio davanti al museo rappresenta chiaramente la strada pubblica che connette via Guido Reni con l'altro asse del tridente. Crediamo molto in quella dimensione urbana, - continuano - il nostro edificio ha l'ambizione di estendere il dominio del pubblico anche dentro il lotto e, ancora di più, cercare di dare sostanzialmente la stessa quantità di verde alla città che andiamo ad occupare con quest'edificio».

Tra i riferimenti progettuali nessun museo della scienza sparso per il mondo, bensì un'attenta analisi delle esigenze dell'uomo contemporaneo: "si tratta di un sistema aperto che vede questo frammento di città adattarsi nella storia passata e nel futuro" - spiegano, rimandando all'idea di città controforma citata da Yona Friedman basata su una visione urbana con un programma orientato a una società pluralista. E poi, soprattutto, una grande conoscenza delle complessità del tessuto urbano romano e una domanda precisa: cosa accade ai grandi edifici dopo di noi?

«Il nostro primo riferimento sono i grandi edifici pubblici romani - spiegano ancora - sono edifici che hanno cambiato funzione per millenni. Il museo è un'istituzione culturale in divenire che cambia tantissimo, quello della scienza è quello che sta cambiando di più, convivendo con tante altre tipologie, dalla ricerca agli uffici fino allo spazio pubblico, e così l'arte si mescola con la scienza e con la divulgazione scientifica. Ci è piaciuto da subito pensare a un edificio che potesse cambiare tanto nel futuro e pensiamo che la vera sostenibilità urbana passi anche per il riutilizzo costante e la creazione di strutture e infrastrutture che possano essere riadattate durante il loro corso storico. E Roma è l'esempio fondamentale, basti pensare al Mausoleo di Augusto e a cosa c'è stato dentro».

Dagli spazi flessibili all'impronta verde dell'edificio fino alla microclimatica: adattamento a 360 gradi

Il piano terra sarà interamente accessibile e caratterizzato dalla presenza del verde diffuso che, insieme a foyer a doppia altezza, caffetteria, bookshop e ristorante, creerà un luogo adatto ad ospitare diverse attività, dagli allestimenti agli incontri dedicati alla scienza, a conferma del ruolo culturale e sociale del museo.

Sospese sul parco, sostenute da una struttura in legno e acciaio come una selva di alberi artificiali e connesse tra loro da corridoi vetrati, le capsule di diverse geometrie e dimensioni enfatizzeranno la relazione tra naturale e artificiale, protette da una teca semi-trasparente aperta per consentire la ventilazione naturale e l'effetto camino e dalla copertura completamente rivestita da celle fotovoltaiche per garantire all'edificio la produzione di energia elettrica.

«All'interno ci siamo concentrati sulla flessibilità degli spazi e lavorando insieme ai giovani progettisti Luca Galli, Michele Sacchi, Filippo Testa e Laura Zevi, abbiamo immaginato di far convivere funzioni estremamente diverse, ma il principio chiave è la reversibilità della struttura. Le capsule sospese sono pensate in questo senso, come degli oggetti pre assemblati, lavorati e poi montati con degli agganci studiati ad hoc e, viceversa, anche smontabili. Se in futuro ci fosse la necessità di smontarle e trasformare il museo in qualcosa di diverso, queste capsule spariranno, magari andranno in giro per il mondo e potranno diventare altre cose, pause urbane in un parco di New York o al Centro di Shangai».

E il concetto di adattamento lo si ritrova anche scendendo di scala, nella scelta delle essenze arboree, studiate ad hoc per il contesto.

«Il metodo di progettazione utilizzato vede una progettazione integrata che racchiude in un unico processo architettura, ingegneria e paesaggio" - spiegano ancora - "Lo sforzo progettuale per il parco interno è enorme, poiché di concerto con gli ingegneri di WSP e i paesaggisti di P'Arcnouveau abbiamo dato forma a un involucro che produce un microclima interno studiato nel dettaglio. Puntiamo così a conoscere i gradi di temperatura di ogni singola mattonella durante tutte le stagioni dell'anno per riuscire a mettere a dimora le specie più indicate per quel particolare microclima che si andrà a creare in ogni angolo, dalle zone in ombra a quelle al sole, fino alle più ventilate ecc.»

Una ricerca continua anche in fase di realizzazione, che utilizzerà i principi della microclimatica nelle varie fasi di progetto per vedere come le specie arboree influiranno nel microclima e confermare o confutare le simulazioni effettuate.

Arriviamo al dunque: quando vedremo realizzato il Museo?

Stando ai tempi indicati e alle chiare indicazioni del Sindaco Roberto Gualtieri, il progetto di fattibilità sarà completato prima della fine dell'anno, mentre definitivo ed esecutivo sono previsti per l'ultimo quarto del 2024, con inizio lavori a gennaio 2025.

«La tabella di marcia sembra promettere bene e noi ci speriamo, così come crediamo che in questa città qualcosa si stia muovendo. - concludono - Roma è una città che potrebbe veramente vedere un nuovo Rinascimento. Ci crediamo molto perché siamo romani e, anche se con una vocazione internazionale, per noi è davvero importante che il primo concorso fatto sia stato vinto nella nostra città!».

CREDITI DEL PROGETTO
Progettista (Capogruppo): ADAT Studio
con Luca Galli, Michele Sacchi, Filippo Testa e Laura Zevi
Paesaggio: P'Arcnouveau
Ingegneria: WSP
Antincendio, Sicurezza: GAe

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