Non si applica ai servizi di architettura e ingegneria la possibilità - prevista dal Codice degli appalti - di utilizzare il criterio del minor prezzo per i servizi con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato. Non è mai possibile, infatti, classificare i servizi di architettura e ingegneria tra quelli standardizzati, ossia quelli che per loro natura non possono che essere espletati in unica modalità, come semplice ripetizione di una attività sempre identica a sé stessa che non richiede mai l'elaborazione di soluzioni personalizzate.
A dirlo è l'Anac con parere di precontenzioso 167 del 2025 con cui si trova ad analizzare, ancora una volta, il tema dell'equo compenso negli appalti, questa volta riferendosi alle novità introdotte dal Correttivo. Oggetto della deliberà è l'esclusione di due concorrenti dalla gara, di importo inferiore a 140mila euro, per il coordinamento in fase di esecuzione dei lavori di messa a norma e riqualificazione del conservatorio di Caltanissetta.
L'aggiudicazione dei servizi aveva avuto diverse vicissitudini e al termine di un iter complesso, la stazione appaltante aveva deciso, nonostante l'importo stimato, di procedere ad una gara e non, come avrebbe potuto, ad un affidamento diretto. Nonostante ciò, alcuni concorrenti erano stati esclusi perché avevano presentato un ribasso superiore al 20%.
Va ricordato a questo punto che secondo il Codice dei Contratti (art. 41, comma 15-quater) in caso di affidamenti diretti dei Sia (di importo inferiore a 140mila euro) i corrispettivi determinati secondo il decreto Parametri possono essere ridotti in percentuale non superiore al 20%.
Nel caso analizzato, la stazione appaltante aveva scelto di affidarsi ad una procedura aperta con applicazione del criterio di aggiudicazione del minor prezzo. Come rileva la stessa Authority: «La particolarità del caso in esame consiste nella commistione tra gara a procedura aperta e importo a base d'asta inferiore alla soglia dei 140mila euro e nella conseguente difficoltà di individuare la normativa applicabile in tema di offerte anomale e di equo compenso che apparentemente non contempla tale ipotesi».
Non vi è dubbio che - se il calcolo dei corrispettivi da porre a base d'asta era ben fatto - sarebbe stato possibile procedere con affidamento diretto, essendo l'importo al di sotto dei 140mila euro. La stazione appaltante ha, invece, legittimamente scelto la gara a procedura aperta, una soluzione possibile, anche al di sotto della soglia dei 140mila euro, se «non censurabile per manifesta illogicità, incongruità, sproporzione o palese travisamento dei fatti», come precisa l'Anticorruzione.
Il problema è che una volta scelta la procedura aperta, la stazione appaltante «non potrebbe successivamente adottare determinazioni in contrasto con tale decisione, ossia, detto altrimenti, non potrebbe operare indebite commistioni tra le regole che presidiano lo svolgimento delle procedure aperte e quelle che invece regolano le procedure negoziate o gli affidamenti diretti senza alcun tipo di selezione concorsuale».
Dunque, nonostante l'importo a base di gara, la stazione appaltante avrebbe dovuto seguire le regole che contraddistinguono la procedura scelta, ossia quella aperta, e quindi non avrebbe potuto utilizzare il criterio del prezzo più basso per la scelta dell'operatore economico. Era, invece, inevitabile l'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e della verifica dell'anomalia dell'offerta ai sensi del combinato disposto degli artt. 41, comma 15-bis e comma 15-ter del Codice. Dunque, il 65% dell'importo a base d'asta andava considerato fisso e il restante 35% poteva essere assoggettato a ribasso in sede di presentazione delle offerte.
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