Possiamo dire che ormai Netflix sia entrato nella nostra vita di tutti i giorni. Molti di noi non accendono più la tv, preferendo piuttosto scegliere attivamente cosa guardare. Conosciamo a memoria tutti i titoli del momento, attendiamo impazienti le nuove serie in uscita di settimana in settimana.

Ma, forse, non sapete che scrivendo la parola "architetti" nella casellina "cerca" si apre un mondo probabilmente sconosciuto. Ecco che appaiono, infatti, una serie di documentari dedicati ai grandi maestri.

Il format si chiama Conversaciones, e raccoglie le interviste ad alcuni dei più grandi architetti del nostro tempo: parliamo di ÁLVARO SIZA, RENZO PIANO, EDUARDO SOUTO DE MOURA, PETER EISENMAN e NORMAN FOSTER.

Al racconto dei loro principali progetti si alternano momenti di vita vissuta, dall'infanzia alla formazione, con richiami ai loro mentori. E poi i rapporti con la famiglia e il come alcune idee rivoluzionarie si sono radicate nel loro pensiero e, di conseguenza, nelle loro opere.

Ecco qualche spoiler per invogliarvi a cliccare su "play".

Conversaciones con Álvaro Siza

Poco meno di un'ora per ascoltare il racconto del grande architetto portoghese riguardo le sue passioni e le sue aspirazioni d'infanzia, ripercorrendo, attraverso disegni e parole le sue opere a partire dal processo creativo che le ha generate.

1933, l'anno di nascita di Siza e il momento che segna l'inizio della sua carriera, allora ancora da scrivere.

Papà ingegnere, famiglia numerosa: Siza racconta attimi della sua infanzia, i momenti conviviali durante i pasti, l'importanza della figura di suo zio che assecondò il suo amore per il disegno già da bambino.

Inizialmente orientato ad abbracciare il mondo della scultura, si iscrisse all'Accademia di Belle Arti con indirizzo Architettura per non dare dispiacere in casa, ma fu proprio frequentando i corsi che scoprì la sua passione. "Ero uno studente mediocre" - confessa.

Quali furono i suoi maestri? Cosa lo portò a diventare uno degli architetti più influenti dell'ultimo secolo? Come conciliò la vita lavorativa con quella familiare?

Nei suoi progetti si ritrova sempre l'aspetto dell'architettura partecipativa e, attraverso le sue parole, il documentario conduce alla scoperta di un personaggio autentico, che soffrì per la prematura morte della moglie e si dedicò completamente al lavoro e all'attenzione verso i figli, affidando al valore dell'amicizia la forza di andare avanti.

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Conversazioni con Renzo Piano

"L'architettura è un'arte pubblica, un'arte che appartiene alle persone". Si apre così la conversazione con Renzo Piano, che va dritto al punto identificando nell'architetto una figura professionale dalle grandi responsabilità, con le possibilità di cambiare il mondo rendendolo migliore.

Un'infanzia in cantiere grazie al padre costruttore che gli insegnò l'arte del fare, l'importanza di crescere in una città come Genova, con il mare sullo sfondo e la presenza del porto, in continuo movimento "dove tutto vola", sono questi, forse, i primi stimoli di Piano verso il mondo dell'architettura.

Prima a Firenze, poi a Milano per gli studi, al fianco di Franco Albini "per imparare a fare l'architetto" e impegnato nell'occupazione dell'università; poi alla volta di Londra, dove insegnò all'Architectural Association School e conobbe Richard Rogers, con cui pochi anni dopo vinse il concorso per il Centre Pompidou di Parigi, quell'idea al tempo utopistica che segnò l'inizio della sua brillante carriera.

Dall'attivismo con i laboratori di quartiere a Otranto "perché fare architettura è fare politica, poiché politica deriva da polis, che in greco significa città", alla Museo Menil e al Padiglione IBM, fino allo stadio di Bari e alla vittoria del concorso per l'aeroporto del Kansai, nella baia di Osaka e Centro Culturale in Nuova Caledonia: salti di scala che fanno emergere l'approccio al progetto di Piano, costantemente caratterizzato dall'attenzione all'artigianalità, alla luce - specie nei contesti museali come la Fondazione Beyeler - o al luogo di intervento, come il Monastero di Ronchamp, dove le parole d'ordine sono silenzio, lavoro e preghiera.

Una carriera eccezionale, sintetizzata in questo documentario in 50 minuti di massime e linee guida del buon progettare, sicuramente utili per gli architetti di oggi e per quelli del domani.

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Conversazioni con Eduardo Souto De Moura

Ed ecco che, come la storia di Álvaro Siza, il racconto di Eduardo Souto De Moura inizia proprio dal contesto familiare. Figlio di un medico, venne formato all'interno della scuola italiana, che gli insegnò quella che lui stesso definisce "la disciplina".

La scelta della facoltà di Bellas Artes fu in un primo momento ostacolata dalla famiglia, ma la determinazione di Eduardo convinse tutti. Erano gli anni dei movimenti popolari e della lotta di classe, che segnarono profondamente il pensiero da studente e poi da progettista, che lo portò in seguito a collaborare con Álvaro Siza.

L'architetto racconta dei suoi maestri - tra i quali compare anche Aldo Rossi - e dei suoi primi progetti, come il mercato di Braga, ideato durante le notti dopo le ore di servizio militare.

Aprì il suo piccolo studio senza aver ancora conseguito il titolo di laurea, lavorando principalmente su piccoli interventi residenziali di privati, per poi trasferirsi in Cina, dove approfondì il rigore progettuale fatto di griglie e geometrie pure.

Tornato in Portogallo continuò a lavorare sul tema residenziale, stavolta costruendo ville per ricchi committenti e iniziò proprio qui a subire il fascino della rovina. In seguito gli venne, infatti, commissionato il restauro dell'Alfandega di Porto e la trasformazione di due conventi in struttura ricettiva, con un'enorme piscina nel cortile centrale che rende il progetto ancora più suggestivo.

Nel documentario emerge una figura in continuo movimento e un percorso professionale di eterna ricerca che non trova mai fine. "L'architettura" - dice - "deve guardare in tutte le direzioni, sia dal punto di vista formale che funzionale".

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Conversazioni con Peter Eisenman

Anche Peter Eisenman parte dalla sua infanzia, da quando suo padre, chimico, immaginava per lui un futuro sulla stessa traccia.

Studente modello, dopo la laurea e un dottorato di ricerca, gli fuaffidata una cattedra a Cambridge, e iniziò a viaggiare alla scoperta di architetture iconiche, passando anche in Italia per conoscere l'opera di Palladio.

La sua carriera, dapprima orientata al lavoro intellettuale, ebbe una drastica sferzata dopo un incontro con Manfredo Tafuri, che gli sottolineò l'importanza di "lasciare il segno".

Inizia così la fase dei concorsi, tra questi il Memoriale di Berlino, immaginato per essere un progetto della quotidianità, "un luogo in cui ci si può anche divertire"; e poi progetti ancora più grandi in Ohio, come il Wexner Center, l'Aronoff e il Columbus Convention Center, manifesti dell'architettura decostruttiva.

Il documentario racconta un personaggio solido e fortemente analitico e consapevole, ma non privo di dubbi. Si affidò, infatti, alla psicanalisi per attuare il processo complesso di trasformazione, "uscendo dalle idee che avevo in testa per diventare un architetto" - dice.

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Conversazioni con Norman Foster

Conoscevate la passione di Norman Foster per il mondo della fantascienza? Un interesse nato durante l'infanzia, rimasto costante durante la giovinezza che trovò poi espressione nei progetti di architettura con la scoperta di personalità come Le Corbusier e Frank Lloyd Wright.

Foster racconta della sua giovinezza e di un viaggio che, grazie a una borsa di studio, gli permise di andare alla scoperta degli architetti di cui aveva letto tanto, da Jorn Utzon in Danimarca, ma anche Palladio in Italia.

Da sempre affascinato dagli spazi civici e dalle infrastrutture della città, la personalità di Foster si caratterizza per l'infinità curiosità di scoprire l'essenza delle cose e relazionarle con il contesto in cui si inseriscono.

Tra i suoi progetti, immancabile il riferimento alla cupola del Reichstag di Berlino, progetto forte sia dal punto di vista estetico che simbolico: "l'idea di far salire le persone sul tetto del Parlamento" - spiega - "indicava il simbolo della superiorità delle persone sulla politica". E poi il progetto di Stansted a Londra, che modificò il concetto di aeroporto, diventando un nuovo modello di riferimento per altri architetti e ingegneri, o la metropolitana di Bilbao e la Torre de Collserola di Barcellona, realizzata per le Olimpiadi e divenuta presto uno dei simboli della città.

Instancabile pensatore di altri mondi, oltre ai progetti visionari per Masdar City ad Abu Dhabi, Foster ha addirittura immaginato le abitazioni sulla Luna, studiando i materiali più adatti e le forme idonee alla vita extraterreste.

Tra i progettisti più rivoluzionari del nostro tempo, Norman Foster ha aperto a Madrid la sua Fondazione, pensata per fornire alle nuove generazioni gli strumenti per risolvere i problemi del nostro tempo e di quello futuro.

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