Dopo cinque settimane di svolgimento si è chiusa, domenica 16 novembre con la brillante lectio "E ora? L'oggi e l'Architettura" di Valerio Paolo Mosco, la sesta Biennale di Architettura di Pisa, superando ogni aspettativa e raggiungendo oltre 22.000 visitatori. Trentacinque giorni di mostre, incontri, talk, premi, progetti, installazioni e ricerche in un grande percorso diffuso articolato in 8 padiglioni espositivi affacciati sul Lungarno e nel centro storico.
"Questa Biennale di Pisa" ha commentato Massimo Pica Ciamarra, presidente del comitato scientifico "ha avuto il merito di voler uscire dal singolo edificio per sviluppare temi più ampi, più complessi, frammenti di un ragionamento unitario che hanno a che fare, in primis, con la qualità del vivere. Io, che ne sono parte dalla sua prima edizione, oltre dieci anni fa" prosegue "le riconosco la capacità di aver voluto dare continuità ad un ragionamento, consolidando un percorso nel tempo, un passo alla volta ma con ambizioni per il futuro."
Ambizioni che sono state ripagate, a quanto pare: la Biennale di Pisa sembra aver definitivamente sancito la sua presenza come interlocutore stabile nel dibattito architettonico. Sia grazie alla qualità dei format proposti durante il suo svolgimento, sia attraverso i contenuti che restano come video e catalogo, edito da LetteraVentidue, quest'anno particolarmente curato e pensato come strumento di approfondimento.
Qui, le nostre considerazioni generali rispetto alle cose meglio riuscite e quelle che si potrebbero migliorare.
indice dei contenuti
- A proposito del tema
- Numeri da Record: pro e contro di una struttura diffusa
- Una comunità ampia e internazionale
- 4 big, 4 mostre di livello
- Un contributo chiave al tema NATURE: DTFLR - Dietrich Untertrifaller
- Allestimento Arsenali Repubblicani, riuscito a metà
- Sfida per il futuro: cosa resta a Pisa dopo cinque settimane?
A proposito del tema
Il tema scelto, "Nature - Architettura per un nuovo equilibrio", e le sei aree di ricerca identificate - Sistemi ecologici, Luoghi della cultura, Luoghi della produzione, Connessioni città-natura, Luoghi dell'acqua, Natura e architettura specialistica - hanno orientato la narrazione complessiva della Biennale verso un'idea di progetto capace di misurarsi con i limiti ecologici, le dinamiche del paesaggio e le vulnerabilità del costruito.
I Curatori: Andrea Iacomoni, Massimo del Seppia, Chiara Borsotti e Pietro Berti © Foto di Nicola UghiNon un semplice slogan, ma un richiamo forte alle sfide ambientali e sociali che toccano l'architettura oggi.
Un tema ampio, forse troppo, che nella sua generosità ha comunque consentito letture molto diverse tra loro, aprendo scenari di ricerca sui risvolti più attuali del dibattito - resilienza, transizione ecologica, progettazione climaticamente consapevole, ad esempio - senza cadere nella retorica dell'architettura sostenibile che conosciamo bene, e che oggi meriterebbe strumenti critici più affilati e azioni più impattanti.
"Un tema enorme, universale direi, che sentiamo di dover approfondire. Vasto ma centrato, a giudicare dalla risposta." ha dichiarato Massimo del Seppia. "Questo significa che la Biennale ha oggi la capacità di parlare ad un pubblico sempre più ampio, trasversale, attento, consapevole. Ma soprattutto che Pisa si sta piano piano posizionando come un laboratorio di buone pratiche, di livello internazionale, legate al mondo dell'architettura. Un appuntamento che sta diventando punto di riferimento."
Numeri da Record: pro e contro di una struttura diffusa
Questa edizione della Biennale di Pisa si è chiusa con numeri indiscutibilmente significativi: un'affluenza (quadruplicata) quasi inattesa per un evento che solo pochi anni fa si muoveva su scala decisamente più contenuta. Ma sarebbe riduttivo leggere questo successo esclusivamente attraverso i flussi di pubblico. L'impressione, osservandone dall'interno la costruzione curatoriale e la risposta della città, è che questa Biennale abbia più che altro certificato una mutazione: da semplice rassegna espositiva a terreno di sperimentazione urbana, in cui l'architettura si offre come dispositivo culturale prima ancora che come disciplina tecnica.
La sua struttura diffusa, con otto padiglioni dislocati in luoghi strategici di Pisa, ha certamente contribuito a creare un'esperienza urbana più viva, coinvolgendo brani di città a volte trascurati. Passeggiando tra Lungarno e centro storico, si aveva infatti la sensazione che la Biennale non si limitasse a occupare spazi, ma li attivasse. È uno dei punti più convincenti dell'edizione: la città come corpo vivo, utilizzato non come fondale ma come materia dell'esposizione.
Tuttavia, proprio la natura diffusa dell'evento ha portato con sé qualche ambiguità: la frammentazione dei contenuti, la diversa qualità degli allestimenti, l'eterogeneità delle opere esposte hanno prodotto un mosaico talvolta ricco, talvolta irrisolto. Che poi forse, va bene così.
Una comunità ampia e internazionale
Lo abbiamo visto: in questa edizione più che mai si è assistito ad un passaggio di scala, ma soprattutto ad una dimensione sempre più internazionale. Inoltre, la presenza di progettisti emergenti e di studi consolidati, in dialogo tra loro, ha messo in luce come - fortunatamente- l'architettura contemporanea non si limita a grandi "oggetti" ma si confronta con processi, contesti, partecipazione. Da molte parti del mondo, e con differenti punti di vista: degli oltre 80 progettisti in mostra infatti, 62 selezionati tramite Call to Action e 20 invitati, quest'anno oltre che da tutta Europa, hanno preso parte alla manifestazione progettisti dall'estremo Oriente, Cina e Giappone.
Un grande passo in avanti.
4 big, 4 mostre di livello
È proprio nel confronto tra globale e locale che un dibattito architettonico acquisisce qualità e spessore. In questo caso, coinvolgendo quattro protagonisti indiscussi della scena nazionale e internazionale, invitati come ambasciatori della manifestazione, a cui la Biennale di Pisa ha dedicato progetti speciali, ampio spazio di approfondimento, riconoscimenti e mostre monografiche che valeva la pena di vedere.
Álvaro Siza, protagonista della corposa "Poesia nell'etica del costruire", di una bellissima intervista video girata nel suo studio di Porto dall'Associazione LP e dell'allestimento speciale in due location, La Chiesa di Santa Maria della Spina e il Fortilizio Torre Guelfa, insignito con il "Premio Città di Pisa per la Qualità Urbana 2025".
Lo studio Renzo Piano Building Workshop (RPBW) con una mostra al Museo della Grafica di Palazzo Lanfranchi dedicata al loro lavoro nel mondo nel settore educational, con 7 campus universitari recentemente realizzati o in costruzione (il Manhattanville Campus della Columbia University di NY; il Campus universitario della cittadella ad Amiens (FR); Ecole Normale Supérieure a Paris-Saclay; SNF Agora Institute John Hopkins University a Baltimora; il Campus Nord Bovisa per il Politecnico di Milano; Asian University for Women in Bangladesh e la Tsientang Universityad Hangzhou, Cina).
Al parmigiano Guido Canali, architetto che ha saputo tenere insieme etica e misura con progetti elegantissimi in cui natura e architettura dialogano armoniosamente, autore di una pienissima lecture e insignito con il "Premio alla Carriera", presente, sempre al Museo della Grafica, con "Guido Canali. Tradizione e Innovazione nel progetto di architettura".
E infine al toscano Paolo Riani, forse il meno noto dei quattro, figura eclettica e visionaria, capace di unire architettura, arte e impegno civile, con la monografica "La mia via è per l'architettura" allestita nel Bastione Parlascio con la curatela di Massimo del Seppia e Pietro Berti, una mostra che ripercorre la carriera e la vita in giro per il mondo del maestro (che poi, per lui, sono la stessa cosa).

Álvaro Siza a Fortilizio © foto Nicola Ughi

RPBW a Palazzo Lanfranchi © foto Nicola Ughi

Paolo Riani nel Bastione Parlascio © foto Caterina Salvi Westbrooke

Premio alla Carriera Guido Canali © foto Nicola Ughi
Un contributo chiave al tema NATURE: DTFLR - Dietrich Untertrifaller
Particolarmente riusciti i momenti di confronto pubblico: talk, lectio magistralis, tavole rotonde, in cui il tema "Nature" è diventato più affilato. «Trasformare non significa consumare, ma rigenerare» — è la frase che ha riassunto in modo potente lo spirito che molti progettisti hanno voluto portare in Biennale, ribaltando il paradigma lineare del costruire per proporre, invece, un approccio circolare, di cura e restituzione.
Tra questi, lo studio austriaco DTFLR - Dietrich Untertrifaller che, attraverso le parole di uno dei suoi co-founder, Patrick Stremler, ha illustrato una selezione di progetti - scuole, impianti sportivi, residenze e spazi pubblici - che raccontano un'architettura alleata della natura, attenta alle biodiversità, ai contesti e alle dimensioni locali. Una filosofia che parte dall'osservazione dei sistemi naturali e dalla volontà di tradurre quella logica in soluzioni durevoli capaci di migliorare la vita delle comunità, minimizzando il loro impatto ambientale e valorizzando il carattere dei luoghi. Un'architettura che non si sovrappone al territorio, ma che vi si integra attraverso materiali naturali, legno in primis, strategie bioclimatiche e un'elevata attenzione alla qualità sociale degli spazi. Ma soprattutto, lo studio DTFLR - oltre 170 persone su tre sedi - ha illustrato il modo in cui rende operativa e reale l'idea di un'architettura davvero circolare: un potente database in cui sono archiviati e suddivisi per aree geografiche tutti i materiali avanzati o di scarto dai loro cantieri, affinché sia possibile, per il progetto prossimo, ri-utilizzare elementi costruttivi già presenti, ottimizzando di molto tempi, costi e tecnologie.
Brillante!
Allestimento Arsenali Repubblicani, riuscito a metà
Lo diciamo senza indugi e un po' di rammarico: a "salvarsi" qui, che era la location ammiraglia della manifestazione, sono stati meno della metà dei progettisti invitati ad esporre. Va dato atto che in questo caso la responsabilità è dei diretti interessati: agli studi, viene infatti chiesto di pensare ad un allestimento per i loro tre grandi tavoli quadrati (244×244 cm) presentando come meglio credono i lavori che scelgono di esporre. Ognuno, vale a dire, decide autonomamente come e cosa mettere in mostra agli Arsenali.
E qui casca l'asino. Non tutti infatti sembrano metterci la stessa passione. Migliore in assoluto, per completezza e chiarezza, il lavoro di TAMassociati + ARUP Italia, protagonisti internazionali uniti da una visione che intreccia sostenibilità, innovazione e impegno sociale, con il masterplan "Green Soul" progetto vincitore del bando internazionale C40 Cities - Bologna, scalo Ravone-Prati.
Semplice ma ragionato e a tratti poetico il set up proposto dallo studio cinese Fu Yngbin Studio, l'unico che ha incluso plastici e materiali. Segue il lavoro un po' accademico seppur efficace dei landscape architects LAND, lo studio fondato da Andreas Kipar, che porta alla Biennale di Architettura di Pisa 2025 tre progetti che raccontano la natura come infrastruttura del futuro. Un percorso che unisce ecologia, innovazione e rigenerazione urbana.
Essenziale il drappo stampato di DTFLR, a cui va però dato il merito di aver almeno immaginato una dimensione verticale e morbida all'allestimento. Inaspettatamente modesto quanto invece presentato dal portoghese (bravissimo!) Joao Nunes di PROAP, che spreca completamente un'occasione mettendo in mostra tavole (tristi) di progetti (interessanti) ma datati e già visti.

Padiglione Centrale TAMassociati+Arup Italia © foto Nicola Ughi
Sfida per il futuro: cosa resta a Pisa dopo cinque settimane?
La domanda che rimane dopo questi eventi è sempre: come tradurre il dibattito generato durante il loro svolgimento in pratiche concrete e durature? La Biennale ha sicuramente funzionato come acceleratore di attenzione, piattaforma capace di portare in città discorsi che altrimenti viaggiano soprattutto nei circuiti accademici. Ma perché un evento culturale diventi agente di trasformazione reale, serve un passo successivo: la capacità del territorio di far sedimentare quanto raccolto. La Biennale ha indicato possibilità, ha acceso riflettori; ora si tratta di capire se queste luci continueranno a illuminare e trasformare la città o se resteranno circoscritte all'effervescenza temporanea dell'evento. "Dal nostro punto di vista" affermano i curatori "resta la sfida - ma anche l'opportunità - di trasformare queste settimane di architettura in un impatto duraturo sul territorio: un impatto che veda l'architettura come attore di rigenerazione e non solo come evento."
Sullo sfondo rimane una consapevolezza: l'architettura non può più limitarsi a rispondere a domande tecniche; deve porsi come interlocutrice della complessità. La VI Biennale di Pisa, pur con alcune imperfezioni, ha provato a misurarsi con questa complessità. Non ha offerto un'unica verità, né una linea teorica rigidamente definita. Ha aperto scenari, messo in frizione approcci diversi, invitato a riflettere. Per questo, più che un'esposizione compiuta, è sembrata un cantiere: luogo di lavori in corso, di interrogativi, di sperimentazioni. E forse è proprio questo il risultato più fertile.
Paolo Riani nel Bastione Parlascio © foto Caterina Salvi Westbrooke
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