"Dall'altra parte del mondo l'architettura prende ispirazione dalla natura: forme organiche, superfici che riflettono il cielo e materiali che si fondono con il paesaggio".
È così che i tre giovani viaggiatori Sara, Marta e Thierry, riassumono la tappa in "The land down under", letteralmente "Paese giù sotto", espressione coniata dagli esploratori europei quando decisero di partire alla scoperta della terra che si trovava sotto il continente asiatico.
E in effetti, per noi europei, l'Australia è un'idea geografica così lontana da diventare immaginario. Non è solo "dall'altra parte del mondo", ma identifica proprio il mondo visto al contrario: lì è inverno quando qui è estate, il sud diventa nord, il giorno comincia quando da noi finisce. In un certo senso, potremmo dire che l'Australia sia ciò che l'Europa non è: uno specchio ribaltato, un mondo a testa in giù che ci affascina proprio perché, anche se per alcuni versi molto simile alle nostre abitudini, sembra sfuggire alle regole della centralità occidentale.
Tre giorni a Sydney per una full immersion in città, tra verticalità e dialogo con l'acqua, non sono tanti, ma sufficienti per ricoprire il ruolo di filtro di passaggio dal rigore e dalle luci di Tokyo alla natura incontaminata di Nouméa, che il tour non toccava dal 2019.
Louis Kahn definiva il viaggio una necessità, un modo "per vedere come i vari problemi progettuali sono stati risolti in epoche diverse da uomini diversi".
La tappa australiana segna lo scoccare del trentesimo giorno di viaggio, e questo significa che, ormai, questo è il rush finale del Renzo Piano World Tour 2025, un itinerario di 40 giorni intensi come se fossero 400, sicuramente utili per osservare da vicino e toccare con mano l'arte del costruire declinata nella diverse parti del mondo.
indice dei contenuti

Dall'ordine silenzioso di Tokyo al caos brillante di Sydney
Da Tokyo a Sydney le ore di volo sono 10. Verrebbe da dire "poche!", vista la percezione della distanza dal lato europeo del mondo! La città accoglie ben 2 progetti del RPBW, entrambi fondamentali nella definizione dello skyline: sono ONE SYDNEY HARBOUR & AURORA PLACE.
Il primo, ultimato lo scorso anno, affacciato sul porto di Sydney, in costante dialogo con il contesto, è composto da tre torri che offrono viste mozzafiato e vivaci spazi pubblici con vista sulla Riserva di Barangaroo. Un perfetto esempio di integrazione in città, diventato infatti un nuovo punto di riferimento per la vita urbana moderna e sostenibile.
Il secondo, invece, situato accanto ai Royal Botanic Gardens e completato nel 2000, si distingue per le due torri - una per uffici e l'altra residenziale - e la facciata in vetro speciale serigrafato che riflette i raggi solari e la caratteristica "vela" in vetro in copertura.
"Sebbene progettati in momenti diversi - commentano i ragazzi - entrambi incarnano gli stessi principi: apertura, permeabilità e un forte legame con l'ambiente circostante".
Fin dal periodo coloniale, la vocazione al costruire per Sydney ha rappresentato un atto di appropriazione e controllo. Edifici in stile georgiano e vittoriano, spesso realizzati con materiali locali ma secondo logiche europee, riflettevano una visione del paesaggio come qualcosa da addomesticare. Nel tempo, però, queste strutture si sono intrecciate con nuove tipologie edilizie, segnando una città che non cancella mai il passato, ma lo sovrascrive e lo riformula.
Nel secondo dopoguerra, poi, il modernismo ha trasformato la skyline, integrando torri razionaliste in acciaio e vetro, sistemi infrastrutturali efficienti e nuove connessioni tra città e porto.
Oggi l'architettura di Sydney ha una sua identità basata sulle necessità di chi la abita, portando con sé i tratti peculiari dal suo territorio e adattandosi alle esigenze della contemporaneità. Quella di Sydney, infatti, potrebbe essere considerata un'architettura che riflette - con doppia accezione del verbo: riflette la luce, ma riflette anche le nostre domande sul futuro, provando a dare risposte tangibili.

DAY 30, Sydney, Sydney Harbour by RPBW
La seconda giornata a Sydney è dedicata alla visita delle INTERNATIONAL TOWERS di RSHP e alla ART GALLERY OF NEW SOUTH WALES del Sud di SANAA, specchio di due modi differenti di costruire sull'acqua.
"La galleria di SANAA - scrivono i ragazzi sul loro diario di bordo - si fonde dolcemente con il pendio della collina, offrendo un tranquillo rifugio tra arte e natura, mentre le torri di RSHP costeggiano la baia con struttura e chiarezza, aprendo la città al suo porto".

DAY 31, Sydney, International Towers by RSHP

DAY 31, Sydney, Art Gallery of New South Wales by SANAA
Per l'ultima giornata a Sydney immancabile la tappa all'OPERA HOUSE, simbolo della città, ma anche icona architettonica mondiale, tra le opere più significative della storia sia per estetica inimitabile che per la complessità strutturale celata. Le sue "vele", sospese tra terra e acqua, rappresentano un'icona universale, espressione di una modernità radicata nel sito e ispirata dalla leggerezza del vento.
Era il 1957, l'allora quarantenne architetto Jørn Utzon, insieme all'ingegnere Ove Arup, vinse il concorso internazionale con un'idea brillante e visionaria: immaginò una serie di gusci sovrapposti stagliati sulla baia.
Un progetto grandioso quanto complesso, che richiese ben 16 anni per la sua realizzazione.
Le 12 fasi evolutive con numerosi cambi di geometrie, culminanti nell'inscrizione dei gusci in un'unica superficie sferica (si narra che l'illuminazione arrivò sbucciando un'arancia e osservandone gli spicchi!), si conclusero nel 1973, con l'inaugurazione. Una soluzione, questa, che consentì sia la prefabbricazione delle nervature in cemento armato che la razionalizzazione dello schema di rivestimento in piastrelle.
Il progetto delle facciate vetrate è, invece, da attribuire a Peter Hall, che vi si dedicò a seguito dell'abbandono di Utzon nel 1966.
"È stato emozionante ammirarla dall'interno - commentano i ragazzi - dove la vista sul porto ti fa sentire come a bordo di una nave. Trasportati da questo senso di movimento verso il mare, abbiamo preso un traghetto per Manly, il modo perfetto per concludere il nostro soggiorno qui".

DAY 32, Sydney, Opera House by Jørn Utzon
La tappa più attesa: la Nuova Caledonia e Nouméa
Nonostante questa tappa rappresenti anche l'avvicinarsi della fine del viaggio, la gioia nel vedere Nouméa dall'aereo è incontenibile. "Tranquilla, aperta e con il mare mai troppo lontano" - scrivono i ragazzi.
Dal punto di vista geografico la Nuova Caledonia è un arcipelago, ma lo è anche in senso metaforico: ogni isola è un frammento di identità che la distingue dalle altre, rappresentando un punto di debolezza, ma al tempo stesso di forza, per la sua autenticità.
Nouméa, in particolare, è lo specchio in cui l'identità caledoniana si interroga: francese o oceanica? Modernità o radici?
Come città costruita sull'acqua, Nouméa è il teatro di una modernità importata, ma anche un luogo dove il silenzio delle lagune e la voce dei vecchi raccontano una storia più profonda, che si confronta con il peso della memoria coloniale e con il desiderio di autodeterminazione.
Ma è anche un terreno fertile per dare spazio ad architetture uniche che in altri contesti non avrebbero lo stesso significato. Parliamo del CENTRO CULTURALE JEAN-MARIE TJIBAOU del Renzo Piano Building Workshop, un'opera ricchissima di significato, un luogo dove si intrecciano memoria, identità, architettura e natura.
Nato a seguito di un concorso nel 1991, il progetto richiese due intensi anni di progettazione e 5 anni per la realizzazione, aprendo le porte al pubblico ormai quasi 30 anni fa, nel 1998.
La costruzione del centro faceva infatti parte degli accordi tra il governo di Parigi e le autorità locali per l'indipendenza della Nuova Caledonia e doveva rappresentare l'espressione di una tradizione millenaria di rapporto con la natura.
Il progetto, infatti, non è stato pensato racchiuso in una sede monumentale ma come un insieme di villaggi e spiazzi alberati, di funzioni e percorsi, di pieni e di vuoti. Le costruzioni, caratterizzate da strutture curve fatte di listelli e centine di legno, richiamano visivamente le tradizionali capanne kanak, ma senza chiudersi in se stesse.
La grandezza di questo progetto sta nell'interpretazione della tradizione come una trasformazione, dove il passato entra a far parte del presente, ma lasciando libertà di espressione. Il Centro Tjibaou, infatti, non impone la sua presenza rigida nella natura ma anzi, grazie alla sua forma, si lascia attraversare dal vento, dalla luce, incarnando l'idea di "abitare poeticamente la terra".
Curiosità
La Nuova Caledonia è stata scoperta dall'esploratore britannico James Cook, nel 1774, durante il suo secondo viaggio nel Pacifico a bordo della HMS Resolution. Cook la chiamò così in onore della Scozia, che in latino era chiamata Caledonia, a causa della somiglianza del paesaggio con la sua terra natale.



DAY 34-35, Nouméa, Centro culturale Jean-Marie Tjibaou by RPBW
In questo momento i ragazzi saranno su un volo diretto a Milano, ultimi giorni di grand tour in attesa di incontrarli martedì 29 luglio a Punta Nave e farci raccontare quanto più possibile del bagaglio di nuove conoscenze lasciato da questo incredibile viaggio.
RENZO PIANO WORLD TOUR 2025
Il RPWT è un progetto promosso da Fondazione Renzo Piano, Fundación Botín, Vitra e Selvaag Gruppen, in collaborazione con ProViaggiArchitettura e professionearchitetto.it
IL VIAGGIO PROSEGUE...
segui il racconto
su instagram → rpwt_40days
su facebook → rpwt40days
PARIGI › LOSANNA › GINEVRA › BERNA › BASILEA › WEIL AM RHEIN › RONCHAMP › ZURIGO › LISBONA › BILBAO › SANTANDER › LONDRA › HONG KONG › SHENZEN › SHANGHAI › HANGZOHU› OSAKA › KYOTO › TOKYO › SYDNEY › NOUMEA › MILANO › GENOVA

© RIPRODUZIONE RISERVATA
pubblicato il: - ultimo aggiornamento:





