in alto la scuola primaria nel quartiere "Firmian" a Bolzano © MoDusArchitects, foto Oskar Da Riz

Ha lavorato a più di venti progetti legati all'educazione e all'istruzione. Tra i più recenti realizzati, ci sono il complesso scolastico e centro civico a Sant'Andrea (Bressanone), una scuola primaria a Bolzano ed un'altra ad Ora (Bz). Altri i progetti in corso in Alto Adige e a Stoccarda (Germania) che lo studio sta sviluppando a partire da concorsi.

Sandy Attia e Matteo Scagnol - MoDusArchitects © Marco Pietracupa
Sandy Attia e Matteo Scagnol - MoDusArchitects © Marco Pietracupa

Lo studio MoDusArchitects, fondato da Sandy Attia (Il Cairo, 1974) e Matteo Scagnol (Trieste, 1968), da oltre venti anni infonde energie per innovare il modo di concepire, progettare e realizzare le scuole, investendo in ricerca e sperimentazione. Passione ed energie che hanno portato lo studio, con sede a Bressanone (Bz), a realizzare scuole oggi considerate modello.

Con l'ultimo concorso "Futura" per la realizzazione di oltre 200 scuole in Italia, MoDusArchitects si è aggiudicato le strutture da realizzare a Bordano (Ud) e Gemona del Friuli (Ud). Ma per arrivare a costruire scuole davvero innovative - riferisce Sandy Attia, architetto e visiting professor alla University of Virginia - occorre innanzitutto grande resistenza e tenacia da parte dei progettisti, ma dall'altra è anche necessario creare consenso intorno al progetto, facendo dialogare la comunità scolastica, il mondo della progettazione e la pubblica amministrazione. Ma servono anche competenza, visione, una revisione dei meccanismi della Pa e anche della normativa. Insomma, tanta ancora la strada da compiere.

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Architetto Attia, quale direzione, all'interno dello studio MoDus Architects, stanno prendendo la ricerca e la sperimentazione sull'architettura scolastica?

Stiamo lavorando su diversi livelli, chiaramente ogni scuola ha le sue specificità, non c'è una risposta unica e netta alla sua domanda, tranne forse la volontà di portare la bellezza, e in particolare una bellezza durevole, nelle scuole. E questo, tra l'altro, lo facciamo di nascosto: rispondiamo a tutte le esigenze tecnico-funzionali che ci vengono richieste, ma senza dichiarare la nostra intenzione di perseguire la bellezza, altrimenti susciteremmo ansia nella committenza e in tutte le altre figure che ruotano attorno al progetto. Quindi, puntiamo alla bellezza, ma lo facciamo di nascosto.

Perché la committenza sarebbe spaventata dalla bellezza?

Noi architetti abbiamo i nostri ideali, sui quali puntiamo, e se li manifestiamo apertamente alimentiamo questa paranoia diffusa secondo cui vogliamo fare solo le cose che ci piacciono senza accogliere le richieste degli altri. Dunque, finché non si è guadagnata la fiducia delle persone che si hanno intorno, tra cui la committenza e gli utenti, è meglio nascondere la volontà di perseguire la bellezza.

Dunque, al di là della ricerca (nascosta) della bellezza come fattore comune della progettazione, ad ogni scuola corrisponde una sfida specifica?

Esatto, in ogni esperienza cerchiamo di investire in almeno un ambito abbastanza preciso della progettazione e lo facciamo con fermezza, cercando di tenere duro durante tutto l'iter. Ad esempio, stiamo progettando una scuola elementare a Valdaora, che sarà tutta in legno. La volontà di lavorare con il legno ha un effetto domino nello spazio che si va a creare, nella relazione con il contesto, e poi ci sono le soluzioni tecniche da studiare, nel nostro caso il solaio ha anche una valenza acustica. Realizzare una scuola tutta in legno è una cosa che non eravamo mai riusciti a fare. Arrivare a centrare questo obiettivo, sarebbe una bella vittoria.

Perché qual è l'ostacolo che rende difficile la realizzazione di una scuola tutta in legno?

Solitamente è soprattutto il budget, ma poi occorre rassicurare le pubbliche amministrazioni su tanti aspetti che attengono all'antincendio, alla durevolezza del materiale, etc.., bisogna, dunque, spingere su conoscenze tecniche che non sempre la committenza è pronta ad affrontare.

Altri esempi specifici di sperimentazione in corso?

È in costruzione una scuola elementare e media in Friuli-Venezia Giulia dove abbiamo sviluppato una maglia adattabile alle esigenze della scuola, raggiungendo la famosa flessibilità, con un'attenzione particolare alle relazioni e alle reciprocità tra gli ambienti. Poi ci sono le due scuole che abbiamo vinto con il concorso Futura e qui abbiamo semplicemente provato a bilanciare le incongruenze tra le richieste e i fondi messi a disposizione, con soluzioni semplici, ma di forte impatto organizzativo.

Un altro esempio è la scuola di Vipiteno, un progetto di ampliamento e ristrutturazione di due scuole medie che si fondono in un unico complesso scolastico. Qui alla progettazione si affianca un progetto pedagogico molto articolato e preciso, dove la spazialità della scuola trova la sua connotazione a partire dal movimento che l'alunno compie nel cercare il suo percorso di apprendimento. Si tratta di un lavoro complesso, ma molto interessante e possibile se c'è un progetto pedagogico che fornisce agli architetti la sostanza su cui lavorare.

Questo voler mettere in relazione la spazialità al movimento dell'alunno cosa ha comportato, nel concreto, nel progetto di Vipiteno?

Nel concreto significa organizzare lo spazio in modo che ad esempio l'alunno nel raggiungere l'aula incontri diversi spazi: prima la grande hall con il guardaroba, che dai noi ha una grande importanza, perché è anche uno spazio per lo studio individuale e di relazione; poi proseguendo incontra la zona dei cluster, che abbiamo dotato di alcune soglie, poi c'è uno spazio per l'apprendimento informale e di gruppo e poi l'aula. Se si segue un altro percorso si aprono altri scenari. Ad esempio, per raggiungere altri dipartimenti si passa per la biblioteca, aperta, che entra così a far parte del quotidiano. In questo modo l'apprendimento diventa più spontaneo e si pone l'accento sulla vita sociale della scuola.

Tutto molto molto bello se lo sforzo progettuale verso scuole innovative non viene vanificato nel quotidiano da un modo di fare lezione e di concepire la scuola che resta tradizionale.

Questo è proprio il punto clou. Noi come architetti possiamo essere molto abili, e non solo noi come MoDus ma mi riferisco ai vari progettisti, ad offrire novità e spunti per ripensare la scuola, però non è possibile attuare questo cambiamento da soli. E il percorso per arrivarvi va rinforzato da più parti, quindi lavorando sui docenti, ma soprattutto il dirigente deve essere convinto, deve avere una visione e trasmettere entusiasmo verso una scuola innovativa. La condivisione, la sperimentazione, la discussione devono avvenire a monte del progetto, altrimenti è come dire: arriva la Ferrari e il conducente la guida andando a 30 all'ora: non funziona.

E, non solo: se questo non accade i soldi sono spesi male. E questa è una cosa che mi fa rabbia. Bisogna fare rete di buone pratiche, ne è un esempio l'esperienza per la scuola Fermi realizzata dalla Fondazione Agnelli e dalla Compagnia di San Paolo. In quel caso si è indagato il rapporto tra la comunità scolastica, il mondo della progettazione e i meccanismi della pubblica amministrazione per capire come mettere in dialogo i diversi attori al fine di creare consenso intorno al progetto. Dunque, i progetti vanno governati, ma poi ci vuole cuore per non perdersi nella ragnatela della burocrazia e di leggi ormai sorpassate.

In termini di soluzioni, i vostri progetti fanno scuola, ma vi sono ancora dei traguardi non raggiunti verso cui vi piacerebbe dirigere le vostre ambizioni progettuali?

Certo, ce ne sono tanti. Uno è lo sviluppo delle aree esterne alla scuola, questo purtroppo è un tema trascurato perché i soldi non bastano mai e, invece, questi spazi sono preziosi. Un altro è la mensa: è uno spazio che va rivoluzionato. Vorrei per questo sviluppare una ricerca: la mensa potrebbe diventare un'occasione per insegnare che il cibo è cultura e per sensibilizzare verso un'alimentazione sana, fondamentale per dei ragazzi in crescita. Ma bisogna anche lavorare sullo spazio stesso, che è troppo istituzionalizzato. Va ripensato tutto. E poi, i servizi dedicati ai bisogni e alla cura del corpo, ossia i servizi igienici che per molti ragazzi sono spazi da evitare a tutti i costi.

È tutto?

No, bisogna anche ripensare gli spazi dedicati agli insegnanti, spesso risolti con qualche armadietto e un tavolo. Dovrebbero, invece, tenere conto dei grandi progressi fatti negli uffici moderni, dove si sono aperti nuovi scenari. Questo perché gli insegnanti, al di là delle lezioni, devono avere la possibilità di lavorare a scuola, di sentirsi bene e di costruire la comunità dei docenti per portare avanti la scuola. Poi una particolare attenzione andrebbe rivolta alla cura dell'accoglienza: non basta fare una grande hall se poi quello spazio è anonimo e inospitale. Bisogna lavorare sulla connotazione dello spazio, considerare la dimensione corporea, il benessere. Possono sembrare parole vuote, ma il senso di anonimo non solo fa sì che quegli spazi non vengano usati, ma non si innesca quel sentimento di appropriazione e cura che è fondamentale perché permette di sentirsi parte di un sistema più grande e di assumere la responsabilità di portare avanti la scuola stessa.

Dunque, c'è ancora da fare, ma secondo lei la legge del 1975 è d'ostacolo alla realizzazione di scuole che siano veramente innovative?

È strano, perché sono state costruite tante scuole "innovative" dal 1975, ci sono bellissime scuole che abbiamo ereditato, ma purtroppo la risposta è sì: è un ostacolo. E questo perché le richieste di innovazione e l'applicazione della legge del '75 sono in netto conflitto. Punto. Quando ci siamo trovati nella commissione delle linee guida per il concorso Futura abbiamo proposto di non fare altre linee guida, visto che già ce ne sono in Italia, ma di ragionare sulla legge del 1975. Quello è il punto clou, ma purtroppo quello non era il nostro mandato.

Sulla legge del 1975, ci vuole una task-force, una squadra di persone con le competenze giuste che la riscriva. Non c'è da girarci intorno. Sembra complicato, ma non lo è. In questo caso basta guardare l'Alto Adige, dove hanno predisposto le proprie "Direttive e norme tecniche per l'edilizia scolastica" molto semplici ed efficaci, e soprattutto adattabili ad un progetto pedagogico specifico. Si tratta di un opuscolo di 65 pagine, molto chiaro, con progetti esemplari di riferimento, indicazioni specifiche sulla tecnica e sulle procedure, e un capitolo dedicato al "Progetto organizzativo ad indirizzo pedagogico", alla base della definizione di un programma non solo numerico e di dati, ma di volontà nell'uso futuro della scuola.

Ci sono altri ostacoli da abbattere per giungere diffusamente a scuole che possano dirsi innovative?

Io ho sempre l'idea di voler cambiare il mondo e secondo me ci vuole proprio una rivoluzione. Possiamo andare avanti così, con ognuno che cerca di fare il suo pezzetto, di resistere, ma se guardiamo al codice degli appalti e ai diversi momenti del processo: dall'aggiudicazione dei lavori ai meccanismi della pubblica amministrazione, una buona architettura oggi è il risultato di un percorso di resistenza. Invece bisogna trovare soluzioni che non siano contrapposte tra di loro. Se consideriamo le leggi che ci sono, nel percorso progettuale noi architetti siamo visti in malo modo, come una minaccia, e ora più che mai. Sembrerà molto banale, ma bisogna mettere insieme le forze e cambiare il modo di fare i progetti sin dalle basi, perché si spende tanta energia solo per risolvere conflitti, ma così non può funzionare.

Tornando al concorso per le 212 scuole, cosa vede all'orizzonte: sull'esito incombe la spada di Damocle dell'appalto integrato?

Certo, è stata fatta la legge apposta in preparazione di un appalto integrato. Purtroppo, dobbiamo guardare le cose in faccia, partiamo dal concorso di architettura: la nascita di un buon progetto non risiede semplicemente in belle parole scritte in un bando, ci sono tante componenti da mettere insieme e il percorso va tutelato con visione e competenza, in modo che gli obiettivi e gli strumenti necessari a raggiungerli convergano. Sembra anche stupido dirlo, ma il problema sta lì. In alcuni bandi erano esplicitati pensieri bellissimi, illustrati grandi obiettivi, ma poi le richieste del programma planivolumetrico, quelle normative e le esigenze espresse in metri quadri erano incompatibili, non riuscivi a rispondervi se non cercando di bilanciare il tutto per trovare una giusta via.

Noi vincitori stiamo cercando di capire cosa fare perché per la maggior parte dei progetti il quadro economico non è compatibile con le richieste, con le prescrizioni che derivano dai nuovi Cam, con i requisiti di sostenibilità. Non si fanno miracoli. Quello che viene richiesto deve esser supportato con testa, leggi, competenze e un quadro economico congruo. Non si può chiedere la luna e poi stanziare due soldi.

Quindi è un problema di budget?

Certo, ma non solo, i comuni devono anche avere gli strumenti e un vademecum per proseguire. Ci siamo confrontati con altri colleghi vincitori, ciascuno ha chiesto informazioni agli enti locali responsabili, ma nessuno sa come procedere. Sulla carta il governo ha fatto tutto: ha consultato un pool di esperti per le linee guida, ha accontentato gli ordini e i consigli nazionali chiamandoli a convalidare il bando, ha accontentato i Comuni in modo che esprimessero i propri desiderata, ha rispettato i tempi di aggiudicazione, ha messo in piedi commissioni che racchiudono varie competenze, sulla carta tutto fila. E lì sta il vero problema: le scuole non si fanno sulla carta, sono fatte di persone e sono fatte di elementi che devono allinearsi. Non c'è chiarezza, sulla carta il governo ha fatto tutto perfettamente, ma questo scollamento tra la realtà delle cose, la nostra professione e le azioni di chi decide è grave. E lo dico da cittadina italiana che ha investito tutta l'anima in Italia.

Proviamo a chiudere con uno spiraglio di positività: la scuola ad Ora ha apportato importanti innovazioni, cosa ha funzionato bene e perché lo spazio è definito come "total learning space"?

Questa scuola l'abbiamo progettata insieme ad un altro studio di Bressanone: Bergmeisterwolf e hanno partecipato due figure molto importanti: la responsabile del progetto all'interno del Comune di Ora, una persona veramente competente e poi un dirigente che aveva una visione molto più avanzata rispetto alla nostra di quei tempi. C'è stata una sorta di allineamento delle costellazioni, ossia c'erano tutte le condizioni per fare un'architettura che scardinasse l'immaginario legato alla scuola. Ed allora, quando abbiamo metabolizzato il concetto secondo cui la scuola è un tutt'uno e che si impara ovunque, è stata una liberazione.

Abbiamo quindi creato delle connessioni fisiche e visive tra gli spazi e non solo per raggiungere la piena inclusività, ma affinché ogni persona potesse sentirsi parte di una comunità e partecipare alle azioni dell'altro ma senza essere presente in quello spazio. Le diverse soluzioni adottate generano la possibilità di lavorare ovunque all'interno della scuola. E ancora adesso, andandoci, mi emoziono, perché è chiaro che c'è una vera appropriazione di tutti gli spazi. C'erano le persone giuste e una visione, dunque tutto ha funzionato.

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