«Tra il lavoro dell'architetto e quello del vignaiolo vi è un'intima fratellanza con la terra, una chiamata che viene da essa e che spiega bene il perché desideriamo che un suolo e un clima dicano ciò che sono, manifestando con il loro vino quale sia la loro espressione, rivelando ciò che quel suolo, nel suo ermetismo, non è in grado di dire»¹.

Sono le parole dell'architetto spagnolo Rafael Moneo che, da progettista di cantine, dal 2000 è diventato egli stesso produttore di vini, acquistando e recuperando, insieme ad amici, l'antico complesso monastico della Mejorada, annettendovi un tempio del vino e aprendo le porte al turismo lento e selezionato.

Potremmo definire la cantina - e quindi la sua architettura - come l'anello di congiunzione tra il paesaggio e il vino sulla tavola, uno scrigno capace di custodire, valorizzare e poi trasformare la materia "grezza" del territorio in vino.

L'architetto che ha la fortuna di progettare una cantina ha un compito tanto importante quanto complesso: deve dare forma a un progetto che si fonda con il paesaggio, rispettandolo e offrendo, al tempo stesso, uno spazio funzionale e accogliente a chi vi lavorerà. L'architettura della cantina, quindi, non è mai un semplice involucro, ma un'interpretazione del genius loci con la responsabilità di trasformare la materia per condensare il racconto del territorio in un bicchiere.

¹ L'intervista integrale è trascritta nel volume "Nuove Cantine in Europa. Territori e Architettura" curato da Francesca Chiorino e Roberto Bosi e edito da Electa, presentato a Valdobbiadene lo scorso 4 ottobre in occasione del WAW - Wine Architecture Weekend, evento promosso dall'Ordine degli Architetti della Provincia di Treviso e dal Comune di Valdobbiadene per raccontare in forma conviviale il territorio.

Osteria dell'architetto | Cantina Pizzolato, Treviso (TV) con MADE associati (foto d'archivio)

Il profondo legame tra architettura e vino

Dal progetto al concetto, cosa lega così profondamente il mondo dell'architettura e quello della produzione vinicola?

Se ci pensiamo, il vino trova la sua vera ragion d'essere quando entra in contatto con un bicchiere. A sua volta, un edificio solo quando è abitato. Entrambi diventano quindi atti collettivi, luoghi - metaforici e fisici - di incontro: il primo, nel momento conviviale del brindisi, il secondo nello spazio vissuto dalla comunità.

A ben pensare, architettura e vino sono due forme di trasformazione consapevole del mondo. L'una modella lo spazio, l'altro plasma la materia proveniente dalla terra. Entrambi nascono da un gesto umano che non si limita a utilizzare ciò che esiste, ma lo interpreta, lo accompagna e lo trasforma, dopo averlo fatto maturare.

Se l'architettura è l'arte di occupare spazio e abitare il mondo, utilizzando il costruito come forma espressiva del rapporto con il paesaggio, il vino è la massima rappresentazione del rispetto del tempo, un processo lento che attraversa ciclicamente stagioni, attese ed equilibri.

Ma entrambi sono pratiche del progetto, dove nulla è lasciato al caso e nulla può essere completamente controllato. L'edificio, per esempio, reagisce alla luce, al clima, all'utilizzo, e così il vino reagisce alla terra, alle intemperie e alla mano del vignaiolo.

Così, in un mondo che corre veloce, sia l'architettura che il vino ci invitano a una riscoperta della lentezza: perché costruire bene e vinificare bene richiedono tempo, attenzione, rispetto per i ritmi naturali. E sono pratiche che, pur nate da bisogni concreti, come l'abitare e il nutrirsi, spalancano le porte a dimensioni poetiche, simboliche e rituali.

Dove c'è una cantina e dove c'è un calice, c'è una storia, un luogo, un tempo che con buona probabilità meritano di essere raccontati, ed è per questo che l'architettura del vino è un ponte tra natura e cultura, dove la parola che lega gli estremi è convivialità.

foto: © Silvia Possamai | da sinistra: Alessandra Ferrari (vice presidente CNAPPC), Fiorenzo Valbonesi (asv3 - officina di architettura), Francesco Magnani e Traudy Pelzel (MAP studio), Moris Valeri (vice presidente Ordine Architetti Treviso), Elisa Rizzato (Presidente Ordine Architetti Treviso), Roberto Bosi (architetto e docente presso UniFi), Luciano Fregonese (sindaco di Valdobbiadene), Fabio Buscato (CEO Oikos Venezia), Francesca Bovo (Ordine Architetti Treviso).

Sul filo dell'UNESCO, dalle colline del Prosecco alle isole Azzorre

E se vi dicessimo che le nostre colline venete del Prosecco e le isole Azzorre hanno qualcosa che le accomuna?

A legare Valdobbiadene - cornice della prima tappa della nuova stagione dell'Osteria dell'architetto, ospitata nella Cantina Bortolomiol - e Pico Island, seconda isola per dimensioni dell'arcipelago delle Azzorre è un riconoscimento condiviso di valore universale: l'inscrizione nell'elenco di siti Patrimonio UNESCO.

La nomina del 2004 dei vigneti dell'arcipelago portoghese, nel 2019 è stata, infatti, raggiunta dalle colline del Valdobbiadene e Conegliano "per essere un eccezionale paesaggio culturale unico al mondo, formato da tre elementi chiave: il sistema geomorfologico delle "cordonate" (rilievi paralleli e ripidi), la coltura della vite sui "ciglioni" (strisce di terra erbosa a terrazza) e il "paesaggio a mosaico" creato dall'alternanza di vigneti e boschi, un risultato dell'opera millenaria dei viticoltori e della loro interazione armoniosa e sostenibile con l'ambiente".

Un interessante spostamento geografico e di sguardo per scoprire l'opera dello studio portoghese SAMI Arquitectos, - da approfondire nella mostra in corso Nuove cantine in Europa - dapprima impegnato nel processo di candidatura del sito, poi chiamato a progettare - insieme ai colleghi di DRDH-Architects - la Cantina ai piedi del vulcano con un piccolo hotel di cinque camere.

Armonia con il contesto e materiali accuratamente selezionati sono gli ingredienti chiave di questo intervento sartoriale che, seguendo l'andamento del terreno scosceso, trova l'equilibrio tra i colori delle rocce laviche e il contrasto con il blu dell'oceano. Occupando una porzione di territorio compreso tra il cono vulcanico e la costa rocciosa, l'edificio si mimetizza per la scelta di intervenire con l'antica tecnica dei muretti a secco in pietra lavica, da sempre utilizzata come protezione per la vite dalle intemperie.

foto: © Sami Arquitectos, Pico Island, Azzorre

Osteria dell'architetto, primo atto: tra arte del "saper fare" e del "far sapere"

Nella cornice della Cantina Bortolomiol, a Valdobbiadene, un gruppo numeroso e variegato composto da architetti, vignaioli, enologi e appassionati si è seduto intorno a lunghe tavolate, non per disegnare, ma per brindare e scoprire che progettare e vinificare hanno le stesse radici: il desiderio di dare forma alla condivisione e al celebrare l'arte del saper fare, bene.

Nell'immaginario collettivo l'osteria rappresenta l'idea di architettura dell'accoglienza, non legata ai caratteri dell'edificio, ma piuttosto alle gestualità nello spazio, da un tavolo che si allunga a una luce soffusa che rimanda all'atmosfera domestica e, soprattutto, a un bicchiere che attende la mano dell'altro.

Se l'architetto progetta con le linee, l'oste costruisce con i gesti, invita al dialogo e alla conversazione. Sia l'architetto che l'oste lavorano sullo spazio abitabile, ma uno scolpisce con muri e luci, l'altro con parole e sorrisi.

Qui i ruoli di architetto e oste coincidono con le figure degli stessi ideatori - Roberto Bosi e Fiorenzo Valbonesi - impegnati a costruire una rete di scambi umani e culturali, che - anche grazie al sostegno costante di Oikos Venezia e Qu - hanno portato sul palco attori dell'uno e dell'altro fronte.

La regina è l'improvvisazione, che non significa mancanza di programma, ma piuttosto spontaneità e adattamento al contesto e alla situazione, con la capacità di virare e articolare le nuove domande in base alle risposte precedenti, arrivando a toccare i temi dell'organizzazione di uno studio di architettura, fino ai consigli dei più giovani.

Protagonisti di questa tappa, infatti, i fondatori dello studio altoatesino Flaim-Prünster, autori - insieme all'architetto Walter Angonese - dell'ampliamento della Cantina di San Michele Appiano, presente anche nella mostra Nuove cantine in Europa, in corso fino al 16 novembre a Villa Cedri e in quella intitolata Alps. Architecture. South Tyrol visitabile a Venezia fino al 23 novembre.

In un'epoca di immagini veloci, l'osteria - intesa come incontro - rappresenta un'occasione di scambio, dove il progetto torna ad essere una conversazione e non una prestazione e dove, forse, tra il rumore dei bicchieri e le parole tra commensali, possono nascere nuove idee e nuove amicizie per progetti futuri.

Cantina di San Michele Appiano, Walter Angonese + Flaim-Prünster | foto: © Samuel Holzner

foto: © Silvia Possamai | da sinistra: Roberto Bosi, Quirin Prünster e Francesco Flaim (flaim prünster architekten, Bolzano)

Il calendario delle tappe future

La prossima e ultima tappa del 2025 si svolgerà a Rimini il 13 dicembre, alle ore 19.00, all'interno del Teatro Galli / Sala Ressi - Comune di Rimini, in piazza Cavourin compagnia dello studio VG13.

Per le successive occorrerà aspettare l'anno nuovo, ma intanto iniziate a prendere nota.

Vi terremo aggiornati, ma per qualsiasi info, visitate il sito dedicato osteriadellarchitetto.it

Osteria dell'architetto, Valdobbiadene | fotografie della prima tappa

Fiorenzo Valbonesi e Roberto Bosi | foto: © Silvia Possamai

Roberto Bosi, Fiorenzo Valbonesi e Fabio Buscato (CEO Oikos) | foto: © Silvia Possamai

Fiorenzo Valbonesi e Alessandra Ferrari (vice presidente CNAPPC) | foto: © Silvia Possamai

Elisa Rizzato, neo eletta presidente Ordine Architetti Treviso | foto: © Silvia Possamai

Fiorenzo Valbinesi e Chiara Marzucco (Fondatrice Qu-Lighting)

Roberto Bosi e Alessandra Ferrari consegnano un riconoscimento a Fiorenzo Valbonesi per gli anni di carriera

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